Mentre il nuovo mondo enologico entra nel pieno dei suoi cinquant’anni, il vecchio mondo ha rischiato di evolversi in modo troppo frenetico, disinteressandosi del proprio cordone ombelicale che lo lega al terroir. Questo cordone, via via allungatosi, si è assottigliato, col pericolo di spezzarsi, cancellando la possibilità di attingere alle proprie cellule eno-staminali in caso di gravi pericoli o aggressive contaminazioni. Oggi il protendersi nel nuovo sembra essersi fermato e un viaggio in retromarcia è già lentamente iniziato. Non è un ritorno al passato, un’involuzione, ma una reinterpretazione di alcuni territori, permeando la produzione tradizionale di nuova linfa.
Accade nei territori di frontiera, nuovi Far West, con una corsa all’oro attraverso sentieri non più da esplorare, ma vestiti di ricordi agricoli d’antan, quando il vino era alimento e corroborava lo spirito, i muscoli e le fatiche dei primi proletari nell’era industriale moderna dell’operosa Francia settentrionale. Quelle lotte enoiche per produrre in quantità, sfruttando la diligente neutralità dell’aramon, non riecheggiano più nella memoria dei vigneron; oggi le nuove generazioni interpretano la viticoltura con la visione del “tutto è possibile”.