Crannatza
de Aristanis

Giorgio Demuru

Per la Vernaccia di Oristano, vino arcaico dallo stile ossidativo, la vera sfida non è dominare gli agenti del tempo, bensì resistere alla moda del gusto.

I recenti scavi archeologici nel sito di Sa osa, in provincia di Oristano, riguardanti i Giganti di Mont’e Prama, hanno rilevato la presenza di vinaccioli appartenenti al vitigno vernaccia, fornendo un’ulteriore conferma della presenza della viticoltura in Sardegna fin dall’età del bronzo, in epoca nuragica. Del resto, la Vernaccia di Oristano è da sempre considerata uno dei vini di ascendenza più arcaica nel panorama vitivinicolo nazionale e non solo.

A dispetto della genericità del nome (dal latino vernaculum, con cui si indicavano i “vitigni del luogo”), la Vernaccia di Oristano è l’elemento più significativo di questo territorio, una piana alluvionale nella bassa valle del Tirso, con un microclima regolato dal vicino stagno di Cabras e un substrato chiamato, a seconda della composizione, gregòri, con suoli più ciottolosi e di colore chiaro, e bennaxi, con terreni più vicini al letto del Tirso, scuri e di grande fertilità.

L’area geografica oristanese vive di tradizioni radicate nella popolazione da tempi remoti: la pesca dei muggini, da cui si ottengono autentiche eccellenze come la bottarga (le uova essiccate) e sa merca (“mreca” nella quasi impossibile pronuncia locale), particolare conservazione del pesce sotto sale avvolto in rametti di salicornia; la “corsa degli scalzi”, suggestiva processione religiosa, propiziatoria per la pesca, il raccolto e l’allevamento; la regata de is fassonis, antiche imbarcazioni realizzate con fieno lacustre; la celebre Sartiglia, atto conclusivo del Carnevale, una gara di abilità tra cavalieri il cui protagonista, su componidori, non scende nell’agone senza aver prima bevuto un bel bicchiere di Vernaccia, durante la vestizione.

Tornando alla Crannatza de Aristanis – questo, in lingua sarda, il nome del vitigno e del vino –, prima Doc isolana risalente al 1971, si ottiene da uve vendemmiate nella seconda metà di settembre, utilizzando la tipica vinificazione in bianco, con spremitura soffice e fermentazione del mosto in botte. Gran parte del fascino deriva dalla magia che si crea durante la fase successiva. Il vino è immesso in botti di rovere o castagno a doghe sottili, lasciate scolme per circa il 10 per cento del volume, o anche in misura maggiore, secondo le scelte produttive. Attraverso l’utilizzo di lieviti filmogeni si crea un velo (flor) che ricopre la parte di massa liquida a contatto con l’ossigeno cosicché, da questo momento in poi, la maturazione prosegue in versione ossidativa, influenzata dalla vicinanza con il mare, dall’influsso dei venti e dalla particolare composizione dei locali utilizzati, con pavimenti in terra battuta, pareti di mattoni crudi, tettoie di tegole su un sostegno di canne.

Il rigore catalogativo della critica ha sempre incasellato semplicisticamente la Vernaccia di Oristano tra i vini ossidativi, accanto ai vari Sherry, Montilla Moriles o Vin Jaune del Jura. A differenza dei prodotti spagnoli, tuttavia, non si ricorre alla fortificazione con aggiunta di alcol, per quanto sia consentita dal disciplinare ma quasi unanimemente trascurata. Sarà l’evaporazione, favorita soprattutto nel periodo estivo dalle doghe sottili e porose delle botti, a provocare col tempo l’aumento della gradazione alcolica, così come avviene per il Vin Jaune.