“Perché il vino è l’acqua di Ischia e come vino da pasto non se ne trova uno più valido da Roma in giù. Effettivamente lo si beve in tutta Europa, ma con altri nomi, ed è proprio un bello spettacolo vedere le multiformi imbarcazioni provenienti dai porti stranieri che si addossano l’una all’altra nel porticciolo circolare, uno dei pochi ricordi piacevoli del malgoverno borbonico (…). Assaggiate dunque questo vino, quale che sia il punto dell’isola in cui viene prodotto (…). E assaggiate anche i vini rossi. Provateli tutti, più volte!”
Questa frase di Norman Douglas, tratta dal racconto L’isola di Tifeo del 1931, offre un’immagine sorprendentemente inedita anche per gli estimatori più ferventi dei vini ischitani. Al netto dell’ovvio entusiasmo provocato dallo struggente contesto, lo scrittore inglese, nel suo consueto stile un po’ dissacrante e sarcastico, ci consegna in poche righe una chiave di lettura molto efficace per comprendere le dinamiche dell’epoca e le prospettive per il futuro.
Ci parla innanzitutto della dominazione borbonica, che a Ischia fu più blanda rispetto ad altre zone, poiché i sovrani del Regno delle Due Sicilie amavano particolarmente l’isola verde, eleggendola tra le dimore preferite per trascorre giornate di svago da dedicare alla caccia e alla pesca. I piroscafi reali attraccavano al molo di Ischia Ponte, così da consentire ai nobili di recarsi in carrozza al palazzo Buonocore, requisito dallo Stato borbonico e trasformato in casina reale. Fu Ferdinando
II a intuire che sarebbe stato più comodo raggiungere la casina attraccando direttamente nelle sue adiacenze. Di lì a poco diede l’incarico di tagliare la striscia di terra che separava dal mare aperto il lago prospiciente la dimora. I lavori iniziarono il 25 luglio 1853 e terminarono l’anno seguente, falcidiando la mano d’opera a buon mercato costituita dagli oppositori incarcerati nel vicino Castello aragonese. Il lago, trasformato in un approdo sicuro (tuttora è il più utilizzato per il trasporto marittimo), proiettò l’economia locale in una dimensione mai esplorata prima. Fin dal Cinquecento si trasportava il vino via mare: sono documentati lunghi tragitti, anche fino alla Dalmazia, mediante le vinacciere a vela. Con il nuovo porto, tuttavia, il prodotto locale poté giungere più agevolmente lungo le coste settentrionali del mar Tirreno, negli approdi di Piombino, La Spezia e Oneglia, oltre che in una miriade di destinazioni del Mediterraneo e del Nord Europa. Il commercio raggiunse il suo apice intorno al 1930, con migliaia di ettolitri trasportati, complice il fatto che la terribile fillossera arrivò a Ischia soltanto nel 1935. A questo enorme beneficio economico, tuttavia, non corrispose un proporzionale ritorno di immagine per il territorio, poiché all’epoca il vino sovente prendeva il nome dell’ultimo porto di attracco del bastimento.