l'anno che verrà AIS Staff Writer Ogni anno nel mondo del vino si cercano di prevedere i trend economici e commerciali. Uno dei settori di mercato più sensibile è quello sparkling. Quanti elaborano vini con CO2 osservano l’onda spumeggiante del Prosecco che bagnerà le battigie di molte nazioni. Per qualcuno si tratta di numeri, non di valore. Intanto ci teniamo i numeri anche per il 2017, nonostante la rinascita del Crémant di Limoux, con l’esclusivo vitigno mauzac, stia attirando molti consumatori, mentre il Prosecco dovrà combattere contro i falsi d’autore. Non si è ancora acquietato il clamore delle previsioni anglosassoni per il 2016, che annunciavano gli spumanti inglesi sul punto di surclassare lo Champagne entro due anni: un anno è trascorso e la distanza non si è affatto accorciata. Il 2017 del frizzante non produrrà alcuno scossone a favore del non Champagne; si potrà registrare qualche spostamento verso il Cava più che consentire agli inglesi di aprire un varco oltre la brexit. Lo spumante inglese punterà sul mercato interno, rinvigorito da uno spirito autarchico e pseudo-protezionistico, ma dovrà stare attento ai prezzi, che al momento non si distaccano dallo Champagne, anzi li appaiano. La battaglia si farà con gli entry-level, ma sembra che gli inglesi snobbino il potere commerciale di chi fa milioni di bottiglie. Che l’alternativa sia nelle vigne del sud d’Inghilterra qualche incertezza la genera. Non basta aver raddoppiato i vigneti in dieci anni, c’è ancora incostanza produttiva per influenze climatiche non stabili: alcune aziende si aspettavano di raccogliere 200 tonnellate di uva, ma ne sono risultate poco più di 12; oppure, dopo una vendemmia ottimale nella successiva non si raccoglie un acino, come è accaduto a Nyetimber, che nel 2012 non ha prodotto vino. L’Inghilterra enoica e frizzante ha una produzione domestica di 6,3 milioni di bottiglie (se ne prevedono 10 nel 2020), e di Champagne ne importa 32,7 milioni. L’Italia dello sparkling non rimarrà immobile. C’è stato uno scatto alla fine del 2016, il successo del Trento ha serrato un po’ le fila, ma il team Champagne, che è un fuggitivo, s’è fatto recuperare qualche secondo al traguardo. Bisognerebbe analizzare anche il potenziale dei mercati in ascesa “alcolica”, come la Cina, con l’import in crescita, ma c’è il rischio che l’incremento non sia superiore a quello del 2016, con i vini spumanti che non sono riusciti a sfondare, tranne lo Champagne. Mercati come Indonesia, India e Vietnam hanno potenzialità inespresse e la Russia recupererebbe volentieri se le diatribe politiche si smussassero. Sarà opportuno tornare a essere profeti di vino in patria, smettendo di sventolare la prospettiva dell’export come una scelta meditata, perché a pensarci bene molti si sono scontrati con l’occasionalità e la saltuarietà di una strategia estera, basata sul fatto di essere stati scelti da qualcuno, non di aver scelto il proprio interlocutore. L’anno che verrà sarà quello del ritrovato interesse per il sapere di vino, che vede a stretto contatto due diversi modi di conoscere, quello chattato sui social, e quello più emozionale, intimo, quasi sussurrato nella descrizione organolettica, com’è d’altronde il vino: lo si osserva, lo si annusa, lo si assapora e alla fine lo si lascia parlare, parlandone.