Accantoniamo per un attimo le mode. Passiamo un velo delicato in mezzo ai filtri fotografici che tanto amiamo. Ripuliamo la scena e osserviamo il tutto per quello che è.
Le statistiche parlano chiaro: la birra artigianale (recentemente, e finalmente, normata dal Ddl S 1328-B) vive un periodo glorioso. Non è un segreto e non occorre snocciolare i numeri di un bel successo. Ora occorre cercare di capire il perché di tale successo, puntando dritto al nocciolo della questione, senza filtri.
Uno dei termini più frequentemente accostati alla birra artigianale è: qualità. La sensazione di aumentata qualità è il centro nevralgico di tale incremento di produzioni, ma non dobbiamo dare per scontato che sia così per ogni etichetta “artigiana”. Si incontrano spesso, infatti, esemplari di birre difficilmente riconducibili a caratteri di piacevolezza ed equilibrio. Fortunatamente, la sfida con l’industriale è aperta, almeno da questo punto di vista, grazie all’incredibile varietà di prodotti. Questo è il secondo punto nodale della questione. L’industria gioca da sempre con una o due carte: Lager leggere o doppio malto. Il consumatore si è abituato a credere che la birra sia esclusivamente una (o due): la bionda leggera, o la variante mascherata più robusta. (Una piccola e doverosa parentesi: il concetto di birra doppio malto non sarebbe mai dovuto uscire dal settore di produzione. Non sono birre con una doppia quantità di malto, bensì un prodotto che costa di più al produttore. Punto e basta. In fase produttiva, infatti, tutte le birre che superano i 14,5° Plato di estratto slittano automaticamente nella categoria “doppio malto” con un’accisa maggiorata per chi ha brassato tale birra. E il prodotto che ne consegue sarà delineato, più che dall’estratto originario, da profili in tutto dipendenti dall’ammostamento, dai malti, dai luppoli e dai lieviti.)
La meraviglia che ha innalzato il movimento artigianale (o chi ha sempre lavorato adottando i criteri di artigianalità) è stata anche la capacità di svelare le oltre settantadue macro-categorie attualmente riconosciute di stili birrari. Tutte magnificamente pullulanti di sotto-stili. “Birra” allora ha iniziato a essere un concetto plurale (come saggiamente ricorda un grande cultore e divulgatore italiano di questo nettare: Lorenzo Dabove, in arte Kuaska), e quando c’è varietà, c’è scelta. E se c’è scelta, abbiamo la qualità.
Questa è la vera qualità dell’artigianalità brassicola. La possibilità di giocare carte in precedenza inimmaginabili rende il prodotto assai affascinante, disomologato e libero da preconcetti, così come la vera ricchezza e cultura culinaria di un territorio la fanno la biodiversità e l’ingegno. Iniziamo una degustazione esemplificativa e comparativa, prendendo in esame una manciata di “bionde”. Tutte apparentemente simili, ma tutte golosamente diverse.