la mineralità è d'attualità
Mario Fregoni

Da qualche tempo la stampa si occupa della mineralità dei vini, da non confondersi con la salinità. Non esiste una definizione che identifichi la mineralità sensorialmente e tanto meno scientificamente. In questo contributo vorrei affrontare la mineralità sul piano scientifico, sulla base delle ricerche personali e di altri sperimentatori. Ho pubblicato diversi libri sulla nutrizione minerale della vite, nonché svariate indagini sulle “carte nutrizionali”, elaborate in tutta Italia con circa cinquemila analisi di vigneti, un patrimonio che nessun Paese possiede. 

La prima correlazione che viene in mente per la mineralità dei vini riguarda l’assorbimento radicale degli elementi minerali, condizionato fortemente anche dalla nutrizione idrica della vite, oltre che dalla composizione chimica e dal pH del suolo, dalla sua origine geologica, dalla sua struttura (sostanza organica, argilla, limo, sabbia, calcare, scheletro) e dalla presenza di glomeruli di argilla, humus e calcio che determinano la respirazione e la profondità radicale nella roccia madre. Esiste anche una nutrizione fogliare che consente la captazione del fondamentale carbonio tramite la CO2 impiegata nella fotosintesi, nonché dell’idrogeno e dell’ossigeno, assorbiti dalle radici come acqua. La fotosintesi produce inizialmente zuccheri, da considerare i mattoni con i quali la foglia costruisce tutti gli altri composti, dai polifenoli, agli acidi, agli aromi e così via. Vale la pena rammentare che gli elementi minerali sono necessari ai processi fisiologici di sintesi delle molecole organiche responsabili delle sensazioni degustative. 


Gli elementi minerali più assorbiti dal terreno, o apportati con le concimazioni (anche fogliari) e con le pratiche enologiche, sono macroelementi, come azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio, zolfo, sodio, e microelementi, quali ferro, boro, zinco, manganese, rame, molibdeno, silicio, cloro, alluminio, rubidio, bario, litio, stronzio, titanio, piombo, cobalto, cromo, nichel, vanadio, e altri elementi traccia come i lantanidi. 

La trattazione di alcune funzioni fisiologiche possono chiarire le relazioni tra i minerali e le molecole organiche di sintesi, e la loro importanza nella vita della vite. 

L’azoto, oltre che componente della clorofilla, è la base degli aminoacidi e di conseguenza delle proteine, aventi una loro specifica azione sensoriale; inoltre l’APA (azoto prontamente assimilabile) rappresenta l’alimento dei lieviti e dei batteri responsabili della fermentazione alcolica e malolattica, ma altresì della sintesi degli aromi secondari del vino, in particolare negli spumanti, per la nota doppia fermentazione. Il fosforo entra nelle vitamine, negli enzimi, nei trasportatori di energia che presiedono al metabolismo degli zuccheri. Il potassio non entra nelle molecole, ma è il principale stimolatore della sintesi degli zuccheri (da cui il detto “più potassio, più alcol”, ma anche di tutto ciò che è collegato agli zuccheri); salifica gli acidi, da cui i precipitati della bottiglia (ad esempio bitartrati), diminuisce l’acidità, innalza il pH, ma può dare la lunghezza in bocca in degustazione. Il calcio è fondamentale per le pareti cellulari e per i tessuti di sostegno, attiva diversi sistemi enzimatici, regola il contenuto acidico e il pH. 


Il magnesio invece si trova al centro della molecola clorofilliana, stimola i pigmenti della buccia (es. antociani, flavonoli), attiva gli enzimi perossidasi, fosfatasi e via dicendo. Lo zolfo è costituente dei fondamentali aminoacidi solforati, degli aromi tiolici, nonché per alcuni coenzimi del trasferimento energetico. Il sodio nei terreni salsi, ricchi di salsedine, fornisce vini di particolare mineralità, ossia salati e ossidati, molto poco longevi, a pH elevato. Il ferro stimola la clorofilla, ma nel vino incrementa l’ossidazione, dando una mineralità specifica e rilevabile in certi terreni acidi, rari in Italia; ossida i vini (casse ferrica) riducendo la durata dell’invecchiamento, per cui a volte è necessario farlo precipitare con il ferrocianuro o la bentonite (chiarificanti). Il boro favorisce la sintesi degli zuccheri e le reazioni ossidative degli enzimi catalasi, polifenolossidasi e perossidasi. Lo zinco interviene nel metabolismo degli zuccheri, degli aminoacidi e delle proteine. Il manganese catalizza molte reazioni enzimatiche della fotosintesi e della respirazione, nonché della sintesi degli aminoacidi. Il rame, come il ferro, può determinare la casse rameosa e bloccare la fermentazione alcolica se eccessivo, ma in genere precipita abbondantemente. 

Gli esempi sulle funzioni dei minerali potrebbero continuare, sino agli elementi traccia, che possono indicare l’origine geologica e geografica dei vini, come i lantanidi, ma non fornire sensi di mineralità. La legge pone infine limiti di contenuto ai cosiddetti metalli pesanti (sodio, zinco, ferro, rame, piombo e litio), che di conseguenza non contribuiscono alla mineralità. 


Il bilancio quantitativo dei minerali 


Sull’importanza fisiologica degli elementi minerali nella sintesi di tutti i composti organici della vite non dovrebbero esserci dubbi. Per quanto concerne, invece, i rapporti con il descrittore sensoriale della mineralità, è necessario aggiungere un bilancio quantitativo che consideri il contenuto della bacca e quindi del vino, al fine di evitare conclusioni non sostenibili sull’esistenza della relazione minerali-mineralità sensoriale. 

Per il bilancio quantitativo degli elementi minerali contenuti negli acini alla vendemmia, ci si è avvalsi delle numerosissime analisi effettuate in Italia nel corso di trent’anni, le uniche esistenti (raccolte nel mio Atlante nutrizionale della vite, del 2009), mentre per i contenuti minerali dei vini si è fatto riferimento ai pochi dati di Peynaud, del 1975, e di Ubigli, del 2014, per l’Italia. 

Relativamente alle “bacche”, i macroelementi maggiormente presenti alla maturazione sono, in ordine decrescente, potassio, calcio, azoto, magnesio e fosforo. Riguardo agli oligoelementi: rame, ferro, manganese, zinco e boro. Per quanto concerne il “vino”, l’ordine di impor tanza è sostanzialmente identico: potassio, calcio, magnesio, sodio, eccetera, per i macroelementi; rame, zinco, ferro, piombo, litio, ecc., per i microelementi. 


Dai nostri calcoli si evince che nelle bacche la presenza di macro e microelementi, per l’Italia, è in media di 5,63 g per kg di uva, mentre nel vino sono meno della metà, ossia 2,36 g/l, ovviamente con una variabilità enorme, dato che le ceneri del vino variano da 1 a 4 g/l, ma in genere sono inferiori a 2 g/l, pertanto non sufficienti a realizzare una sensazione di mineralità, del resto inesistente anche nelle acque “minerali”. 

Spesso la mineralità si riscontra nei vini bianchi settentrionali, ma si ritiene sia dovuta alla maggiore dose di anidride solforosa, nonché ai maggiori contenuti di aromi a base di tioli (composti solforati tipici del Sauvignon) e di derivati C13 norisoprenoidi (beta-damascenone, beta-ionone) tipici del Riesling renano, dello Chardonnay, del Cabernet sauvignon. Normalmente queste sensazioni emergono nei bianchi perché meno ricchi di polifenoli ricoprenti. Per questi motivi le sensazioni di presunta mineralità si riscontrano più frequentemente in Germania, Austria, Paesi dell’Est e nel Nord Italia. 


Composti organici e organominerali e mineralità 


Sinora la mineralità è stata attribuita agli elementi minerali e pertanto correlata ai contenuti del suolo e del sottosuolo, come nel caso dei vini vulcanici, per i quali si deve tener presente che le radici che si insinuano nelle rocce in profondità sono da sempre considerate radici acquifere, in grado di assorbire pochissimo gli elementi minerali. 

Non si può tuttavia escludere che alcuni composti organici o chelati organo-minerali o sali di acidi organici possano dare la mineralità sinora intesa dalla stampa. Gli aminoacidi, le proteine e le mannoproteine possono dare la sensazione di pietra focaia. Anche dall’autolisi dei lieviti possono avere origine minerali e composti organici che danno percezioni sensoriali diverse e possono rivelare origini geografiche e di terroir differenti, come è stato dimostrato in Australia. 


Conclusioni 

La mineralità dei vini non è ancora scientificamente delimitata e definita, anche se le analisi sensoriali condotte in Francia e in Spagna hanno indicato nel terroir il fattore responsabile di certe differenze compositive dei vini di origine geografica diversa. 

La mineralità intesa come relazione con i contenuti di minerali del vino non esiste, ma ciò non significa che gli elementi minerali non siano importanti per alcune percezioni definite genericamente minerali. 

Considerando la complessità delle relazioni della supposta mineralità, si potrebbe proporre di attribuirla a “sensazioni da terroir”, come hanno rilevato le ricerche condotte in Borgogna sugli Chablis di differenti terroir e ugualmente in Rioja. Ciò significa suddividere queste percezioni gustoolfattive fra i vari componenti del terroir, ossia attribuirla ai fattori genetici varietali, al portinnesto, al clima, al terreno superficiale e alle rocce madri, alle tecniche viticole ed enologiche, tutti importanti per la composizione del vino e per la sua sensorialità. 

La mineralità, in conclusione, ha cause multiple, quindi non è attribuibile solo ai minerali provenienti dalle radici; la ricerca, inoltre, non ha molto contribuito a chiarire le cause del descrittore sensoriale definito empiricamente mineralità.