Scrivere di vini senza averne i crediti morali e materiali è da incoscienti. Tanto peggio sulla rivista dell’Associazione Italiana Sommelier. Eppure, come uomo di penna e come bevitore, sento di dover correre il rischio. Questa volta, quindi, mi avventurerò a parlarvi di vini nei ristoranti. O, per meglio dire, tratterò delle cattive abitudini che i ristoratori hanno maturato su questo fronte. Cominciamo dai piani più bassi. Non dico dalle trattorie, fauna in estinzione, sopravvissuta soltanto in qualche plaga di campagna. Piuttosto, partiamo dal quel ceto minore della ristorazione sul quale poggia i piedi l’intero movimento.
I vizi capitali maturati e incancrenitisi tra queste pareti sono, se non altro, fonte di divertimento. Il più diffuso riguarda certe liste che sembrano compilate in stato di ubriachezza, forse con l’intento di compenetrarsi più profondamente con la materia in oggetto. Si tratta di elenchini incorporati al fondo del menu. Giusto prima della copertina rigida in finto sky verde o marrone, tatuata con l’ombra di centomila impronte digitali.
Barbera, chianti, sauvignon. O, peggio: bianco e rosso della casa (la casa di chi, poi?). Vi figurano soltanto voci generiche, insomma, senza alcun accenno al produttore o al territorio. Se, per errore o ghiribizzo del fato, all’estensore è sfuggito qualche accenno geografico, ha spesso l’aria di una burla. In una pizzeria di via Farini, a Milano, per esempio, era scritto: “vini del Coglio”. Per pudicizia, bevemmo birra.
Non è raro, tuttavia, che la lista sia orale. Circostanza fastidiosa, perché non c’è tempo per riflettere. Né scorciatoia diplomatica per conoscere la spesa alla quale si va incontro. In questo caso, paradossalmente, c’è un fondo di buona volontà. Ma gli esiti sono caricaturali.
“No no no, caro signore. Sono contrario alla carta dei vini.”
“E perché?”
La giustificazione si aggrappa a un lessico madido di luoghi comuni. Malintesi, ma convinti. “Cambio sempre. Vado in tour, degusto, seleziono, cernito. Prediligo piccoli produttori. Terroir, soprattutto, perché mio zio era del sud, ma mi piacciono anche del centro e del nord…” 84