l'anima bianca di Brolio
Roberto Bellini

Il casato nobiliare dei Ricasoli ha una storia intrisa di pura toscanità; le sue radici, assai antiche e potenti, affondano e germogliano nella storia della Toscana a partire dal IX secolo. Longobardi di origine, hanno assorbito il senso più alto e lo spirito più cristallino di ciò che significava vivere in una terra da sempre culturalmente edotta e con una generale inclinazione a vedere oltre le siepi e ascoltare i fruscii dei probabili antagonisti politici. Fu Rodolfo nell’XI secolo ad attribuire il nome alla casata, partendo da de filiis Ridolphi per giungere a de’ Firidolfi; i suoi discendenti presero il cognome Ricasoli dal nome di uno dei tanti castelli che possedevano, tra i vari che evocano odierni terroir vitivinicoli, come Panzano,Vertine, Meleto, Castagnoli e Tornano, per citarne alcuni, e chiudere infine con Broglio, l’odierno Castello di Brolio. Fu intorno alle terre selvose di questo possente fortilizio che i Ricasoli iniziarono a far vigna nel 1141, sottraendo spazi alle popolose zone di caccia, dove il clangore dei corni sembra ancora riecheggiare tra i boschi e le radure: così erano i monti del Chianti. Ricasoli-Chianti è un connubio inscindibile, il cui fulcro è rappresentato dalla figura del Barone Bettino, ma a ciò va aggiunto Brolio, per cui diventa un trinomio.

Il Castello di Brolio fu per Bettino qualcosa che travalicava la sua monumentalità: in quell’edificio si riunivano sublimazioni emozionali e intellettuali, responsabilità politiche e riparo dai dolorosi eventi della vita. Ma fu soprattutto sperimentazione ampelografica ed enologica, un incessante e meticoloso tentativo di migliorare, aprendosi a riflessioni e pensieri da condividere con gli scienziati più illustri, confrontando senza timori le proprie esperienze in vigna e in cantina con i produttori più innovativi per raggiungere un solo scopo, il “vino perfetto”, un vino che in avesse il “sublime”. Il trinomio Ricasoli-Chianti-Brolio per il Barone di ferro doveva diventare il Vino con la V maiuscola, quello delle sue terre, dal suolo “tufaceo tendente in galestrino”:“l’esposizione è la maggior parte a mezzogiorno, la giacitura è alquanto in pendio”. Il 26 settembre 1872 nacque la sua triade enologica: sangioveto minimo 8/10, canajuolo e malvagia a completamento. Da quel giorno il nome di Bettino si legò indissolubilmente a un’idea di far vino che diventò il Chianti Classico d’oggi.