cucine rompicapo Valerio M. Visintin Quando il food si chiamava ancora “cibo”, quello del cuoco era un mestiere. Certamente nobile e prodigioso nelle sue espressioni più alte. Ma pur sempre un mestiere, in connessione diretta con una precisa funzione commerciale e sociale. All’epoca del cibo, nelle sale dei ristoranti d’ogni ordine e rango sedevano i clienti, i quali avevano facoltà di ordinare i piatti di loro gradimento. Il cuoco cucinava per il cliente. E questo mangiava per se stesso. Ve lo ricordate? Ciarpame d’altri tempi. Al giorno d’oggi, il cliente è stato convertito al ruolo di visitatore. Mentre lo chef è un artista, svincolato da ogni obbligo di servizio o di gratitudine. Occorre una presa di coscienza collettiva del nuovo corso. Bisogna che la gente lo comprenda sino in fondo, senza opporre resistenze antistoriche. Ma, ancor più, è necessario che i giovani cuochi assumano, intimamente, profondamente, la nuova consegna. Vorrei, quindi, cogliere l’occasione per dare qualche consiglio a quelle nuove leve che sognano di scalare le classifiche “golose” delle guide e dei congressi per accedere al mondo delle star in giacca bianca. Tuttavia, non mi sento all’altezza del compito. E allora? Mi affido al verbo di uno dei più grandi chef che il nostro Paese possa vantare. E, cioè, a Tony Mona, patron del ristorante “Muso de Tony” a Venegazzo sul Brenta. Lei che è Mona, firma celebre nel mondo intero, quali suggerimenti darebbe a un giovane erede? “Vede, caro Visentin…” Visintin, con la “i”, Maestro. “Ah, sì certo certo. Ebbene, oggi occorre entrare in un diverso ordine di idee. Lo chef deve vestire un nuovo abito mentale. Quel che prevale è il racconto. Se preferisce: lo stornelling.” Forse intende storytelling. “Sì? Va bene. Non ha importanza. Intendo dire che conta l’immagine che si riesce a dare di sé. Va costruito un vero e proprio personaggio. È quella la chiave per entrare nell’Olimpo.” E da dove si parte? “Dalla nonna.” La nonna? “Certo. Lo chef di grido ha una nonna soltanto. Ma è una nonna importante, che ha lasciato il segno. Bisogna citarla spesso. E ricondurre a lei il principio delle nostre creazioni. Anche se non c’entrano nulla.” E quando, poniamo, un giovane non avesse conosciuto le nonne? “Sfortunato. Ma a tutto c’è rimedio. Ci si reca nella prima casa di riposo a disposizione e si rico- struisce una dinastia.” Capisco. E poi? “È imperativo avere una parola d’ordine, un calembour che riassuma la propria filosofia gastro- nomica. Io, per esempio, parlo di cucina ‘tradi-azionale’. La tradizione rivalutata attraverso l’azione. Comprende? ‘Non tradire la tradizione, traziona la tradi-azione’. Questo il mio motto.” E poi? “Le citazioni. Danno corpo allo strornelling. Io non ho molta memoria, quindi vado sul sicuro, attribuendo frasi di uso comune a nomi celebri della cultura e dell’arte. Una piccola astuzia. Frasi semplici, ma evocative. Le faccio degli esempi. Devo esaltare il valore delle origini? ‘Torno a casa’, diceva Andy Warhol. Mi riferisco alla necessità di innovare? ‘Mi cambio i calzini quando puzzano’, diceva Bukowski.”La sala e il locale: a quale estetica debbono ispirarsi? “Due possibilità. O togliere tutto: tovaglia, intonaco, luce. O aggiungere tutto: sfavillio di pareti bianche, di broccati, lampadari immensi e colorati. L’importante, in ogni caso, è bandire i piatti di porcellana. Si usino supporti alternativi: una pantofola per l’amuse-bouche, la custodia degli occhiali per il baccalà. Per la mousse, il barattolo nel quale la nonna metteva la dentiera. E così via.” Parliamo del menu… “Ma quale menu? Lei è vecchio dentro, caro Visentini!” …Visintin… “L’ideale è non lasciare libero arbitrio al visitatore. Che viene da noi non certo per mangiare qual- cosa che gli piace. Ma per vivere un’esperienza sensoriale. Si approntino, dunque, due o tre titoli per altrettante degustazioni. Devono essere vaghi, perché poi gli diamo quel che ci pare, senza specificare nulla. I miei si chiamano: Nucleo, Animo,Turibolo. Intuisce cosa le porterò?” Francamente no. “Vede? Sono perfetti.” Un punto nodale è il conto. Come lo si calcola? “Lo si calibra sulle aspettative e sul proprio status. Se si aspira alla prima stella, si viaggia sugli 80/ 90 euro. Non di meno, per carità. Non so se capisce: più aumenta il prezzo, più cresce il valore del ristorante.” Con tutti questi accorgimenti, il successo è assicurato? “Per la verità, no, caro Vesentini. C’è un ultimo dettaglio…” …Visintin, Maestro… ma quale dettaglio? “È un pacchetto, diciamo così. O una ricetta, se preferisce: un fondo di sponsor, un’emulsione di ufficio stampa, uno zest di foodblogger e abbondante amicizia fraterna con alcuni tra i principali critici nazionali, prole inclusa.” Perché la prole? “Perché teniamo tutti famiglia, caro Vesentèn!”