diamo voce all'olio Luigi Caricato Quante volte abbiamo detto:“Questo ben di Dio va comunicato meglio, nessuno lo conosce”. È il caso dell’olio ricavato dalle olive, il re dei grassi per eccellenza, che tutti utilizzano correntemente, almeno in Italia, ma nessuno conosce a fondo. Ciò che manca è una comunicazione efficace, che ne spieghi la natura e le modalità di impiego. Se si chiede in giro cos’è l’olio extra vergine di oliva, in molti rispondono semplicemente “l’olio, quello che uso sempre”, senza essere in grado di precisare altro. In un Paese a connotazione oliandola come il nostro, con grandi consumi pro capite, non si conosce ciò che è a portata di mano. Prova ne è la qualità incerta dei consumi, condizionati per oltre l’80 per cento dei casi dalla tendenza a privilegiare gli extra vergine in promozione, acquistati al supermercato al prezzo più basso tra quelli presenti sullo scaffale, con scarsa fedeltà verso la marca. Ecco perché la comunicazione destinata al consumatore, ma anche al fruitore professionale del prodotto olio da olive, è fondamentale. Non ha senso, d’altra parte, che chi produce e confeziona si impegni a selezionare un olio di alta qualità se il mercato non premia a sufficienza il suo lavoro e gli investimenti fatti. La responsabilità è in parte del consumatore, che sceglie in funzione del prezzo più basso, e dei canali distributivi che banalizzano il prodotto olio da olive, in parte delle aziende stesse, che non si impegnano nel comunicare la qualità e la specificità di tale materia prima, per renderla familiare al consumatore e a quanti ne fruiscono per lavoro, gli chef o la stessa industria conserviera, negli impieghi quale ingrediente o elemento conservante. Per dare un senso diverso a questo prodotto nobile, occorre ripensare alla comunicazione che se ne fa. Non bastano le sole parole, come l’espressione che ho provocatoriamente utilizzato - il “re dei grassi” -, se poi i prezzi sullo scaffale non sono per nulla regali. Bisogna fare comunicazione e farla bene, per ridare il valore perduto (almeno sul piano economico e commerciale) a un prodotto cui spetterebbero ben altre valutazioni, ben altri prezzi. La comunicazione deve essere espressa attraverso una pluralità di linguaggi e secondo un approccio multidisciplinare. Per questo è necessario che sia affidata a persone competenti, che sappiano utilizzare anche gli strumenti dei nuovi media, ma soprattutto siano capaci di interpretare i bisogni, sempre in evoluzione, del consumatore. Occorre coinvolgere, in particolare, esperti di blending, per preparare ogni volta l’olio più adatto ai diversi mercati e ai diversi profili di consumatore, esperti di marketing, perché tutto deve essere finalizzato al corretto posizionamento sul mercato, esperti di visual design e packaging, perché il confezionamento e lo stesso imballo devono essere belli e funzionali ma, soprattutto, devono trasmettere con efficacia messaggi diretti e indiretti, e infine esperti di comunicazione, in grado di creare testi e immagini che rafforzino il lavoro sotteso a ogni bottiglia o contenitore d’olio. Ci vogliono dunque differenti competenze nell’affrontare un argomento così complesso qual è l’olio da olive. Non basta conoscere la materia in sé, occorre far percepire il valore immateriale. A parte belle e felici eccezioni degli ultimi anni, con aziende che hanno saputo investire e creare nuovi modelli di comunicazione, finora l’olio da olive non è ancora percepito in tutta la sua evidente semplicità e, insieme, nella sua altrettanto evidente complessità, con le molteplici sfaccettature con cui si presenta sui mercati. Come comunicare l’olio extra vergine di oliva? La comunicazione sull’olio deve essere innanzitutto accattivante, ma è necessario non fermarsi alla sola percezione epidermica. Occorre andare più nel profondo, per far leva sui diversi punti di vista e sulla diversa percezione. Bisognerebbe agire anche su un piano strettamente psicologico. Utilizzare gli studi della psicologia, oltre che delle neuroscienze, rappresenta un passo importante per comprendere le motivazioni di acquisto e le tendenze dei consumi. Non ci sono studi al riguardo riferiti all’olio da olive. Per un approccio più esaustivo andrebbero approfondite le ragioni delle scelte del consumatore e del fruitore professionale, non al fine strumentale di condizionare l’acquisto, ma per comprendere le motivazioni che indirizzano in maniera spontanea verso una scelta anziché un’altra. Un approccio del genere, non basato sulle statistiche della tipologia di vendita, ma sulle motivazioni, non è purtroppo ancora preso in considerazione, ed è un errore. Conoscere il consumatore, con le sue esigenze, è molto importante, perché permette di soddisfare le sue predilezioni di gusto e le stesse attese di ciascun gruppo di individui. Non si tratta di forzare le scelte, ma di assecondarle, senza alterare il lavoro sulla qualità dell’olio. Vendere bene è un principio da cui non si può prescindere, soprattutto in una società come quella attuale, che più di altre offre continue occasioni per mettersi in contatto con il consumatore. Figure determinanti e significative sono i sommelier, per il ruolo che possono esercitare sul fronte dell’olio: come sono in grado di affrontare il vino, posso affrontare l’olio e altri alimenti e bevande. Credo moltissimo nella figura di un comunicatore che sappia spaziare, perché una volta acquisita la capacità di saggiare (e valutare) sensorialmente un prodotto, il medesimo approccio vale anche per gli altri. La nuova comunicazione sull’olio non deve essere finalizzata però alla mera vendita e a ricavare espressamente un profitto fine a se stesso, ma deve creare una cultura più qualificata, facendo in modo che l’acquirente sia consapevole delle scelte che sta compiendo. Non si tratta di scegliere l’olio più caro, ma di sceglierlo bene, in funzione del gusto, della propria predilezione, senza trascurare la qualità e l’impiego, in cottura o a crudo. Per trasmettere una cultura consapevole, non si può rinunciare a comunicare il valore dell’olio da olive in tutte le sue declinazioni, a partire dalle categorie merceologiche di profilo più basso, fino a risalire al vertice della qualità. Quindi, l’olio di sansa di oliva (per fritture, o nelle conserve), l’olio di oliva (in fritture in cui non debba prevalere il sapore dell’olio sui cibi, o per quanti, abituati agli oli da seme, preferiscono un prodotto meno caratterizzato sensorialmente), l’olio di oliva vergine (difficile da reperire, se non nei frantoi, utile in cottura e per le fritture) e infine l’olio extra vergine di oliva (con ulteriore differenziazione in: oli monocultivar, blend di diverse origini, blend di diverse cultivar, oli da agricoltura biologica, oli con attestazioni di origine Dop/Igp, ma anche cru specifici, oli con certificazione di natura religiosa Kosher, Halal e altre). L’olio extra vergine di oliva è il più versatile tra tutti, ma va saputo interpretare: ce ne sono per ogni tipo di impiego, in cottura o a crudo, e per ogni utilizzo diretto e indiretto. Occorre conoscere tuttavia le varie attitudini di un olio in funzione del suo profilo sensoriale: di conseguenza, è opportuno acquisire un elementare “codice degli abbinamenti”. Ecco dunque la molteplice espressione degli oli da olive che non tutti riescono a capire, perché per tanti l’olio è soltanto olio. L’olio da olive è invece versatile, sono diversi oli da valorizzare in base agli impieghi. Il “codice degli abbinamenti” consente di connotare e dare una logica alle differenze di qualità e di prezzo. L’olio da olive va ogni volta saputo interpretare. Per questo motivo insisto nel proporre momenti di confronto, non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche con altre figure professionali, dal designer allo psicologo, dal tecnologo alimentare al sociologo, senza escludere altre professionalità che possano rivelarsi utili al fine di reinventare l’immagine e la funzionalità stessa dell’olio. Occorre un gioco di squadra, che ancora non c’è, e solo in seguito va portato avanti l’impegno individuale, di ciascuna azienda, produttrice o commerciale, come pure di ciascun negoziante o chef o ristoratore. Inoltre è sempre bene evitare contrapposizioni tra paesi produttori. Non bisogna appiattirsi su posizioni che relegano l’olio nella sfera della concorrenza tra Paesi. È sbagliato. Meglio, invece, creare un linguaggio comune, uno stile unitario, un approccio completamente inedito. Per fare ciò, è necessario lavorare tutti insieme, tutti i Paesi produttori uniti, nel favorire l’incremento dei consumi di olio da olive nel mondo. Partendo da questo presupposto, tutto diventa più agevole. Quanto all’Italia, il ruolo che ha avuto dalla fine dell’Ottocento a oggi è impareggiabile, soprattutto per la capacità di vendere e comunicare l’olio, ma è finita la stagione d’oro che abbiamo vissuto da protagonisti. Il grande problema dell’Italia oggi è l’assenza di investimenti in nuovi impianti olivetati, un problema serio, perché gran parte dell’olivicoltura nostrana è vetusta, e in alcune aree produttive, qualora non bastasse l’arretratezza, vi è pure il costante rifiuto (di natura ideologica) nei confronti delle coltivazione intensive e del modello superintensivo. Un altro grande limite è rappresentato dall’eccessiva litigiosità tra i vari attori della filiera, e dalla smodata politicizzazione del comparto oleario, che non permette alle migliori imprese di ottenere il successo meritato senza fare i conti con le maglie della burocrazia e l’alto costo del lavoro. Il futuro, nonostante i limiti oggettivi della situazione attuale, è comunque positivo, per tutti i Paesi produttori. La preoccupazione è nella stanchezza che a volte si nota nei Paesi produttori europei di grande tradizione olivicola. Ci vorrebbe un’Europa diversa, sia sul piano politico, sia su quello delle relazioni tra Paesi. L’olio europeo dovrebbe essere proposto in modo diverso, con meno nazionalismi (e campanilismi), in maniera più convincente e innovativa. La vera sorpresa sul fronte della comunicazione olearia è la California, mentre in Europa a dominare la scena, con originalità e un ottimo packaging a supporto della comunicazione, è la Spagna. L’Italia è bene che si dia una mossa, ritornando all’epoca delle passate glorie.