il mugnaio sui lieviti
Roberto Bellini

I vini della Francia settentrionale, per via del clima freddo, hanno sempre incontrato grande difficoltà a posizionarsi sul mercato, ostacolati dalla forte competizione con i prodotti delle regioni più a sud. La loro sopravvivenza è stata di volta in volta stimolata dal commercio di vino bianco con i paesi del mare del Nord, dalle Fiandre alla Scandinavia alle altre nazioni del Baltico. A questi va aggiunta la Gran Bretagna, più interessata però ai vini rossi.


A queste latitudini il vino bianco risultava trasparente quasi come l’acqua; più complicato e pericoloso era ottenere del rosso. Il vino bianco da vitigni a bacca bianca dovette forzatamente essere reinterpretato in vigna introducendo varietà meno delicate. Pertanto, tra il 1429 e il 1555, i pinot da cui si ottenevano quei vini furono rimpiazzati con cultivar più resistenti, che tuttavia non riuscivano a garantire una sufficiente maturità, tanto che il nomignolo dispregiativo ginguet (vino aspro) diede il via alla ricerca di qualcosa che non dovesse estinguersi nella battaglia con la pregiata qualità borgognona.


L’areale in questione investe tutto il bacino parigino, quella Côte d’Île de France geografica e agricola che da Parigi si estende fino ai monti Vosgi. All’epoca, la Champagne era poco incline a produrre vino bianco. La ricerca di un vitigno resistente alle gelate, che vegetasse nei pendii mal esposti o addirittura nel fondovalle, fu il lasciapassare per accogliere il pinot meunier.

L’attestazione della sua presenza in Champagne si data al 1690: apparve con il nome morillon taconné, a testimonianza della strettissima parentela con il morillon, che era il pinot noir. Si diffuse in tutti i vigneti settentrionali, specie nel Nord-est, dando vita a vini clairet, leggeri e di qualità mediocre. Per questo motivo, l’area di coltivazione si restrinse di anno in anno fino a concentrarsi nella Vallée de la Marne, dove finì per essere vinificato in bianco.