Picolit mondo antico Renzo Zorzi È il vino friulano più famoso. Il primo a varcare i confini della regione, a metà del Settecento, e a comparire sulle mense reali di mezzo mondo. La sua nascita è dovuta a… un astemio. Era questa la curiosa condizione del conte Fabio Asquini, agronomo, friulano di Fagagna, graziosa località collinare a ridosso della più ben nota San Daniele, il quale si dedicò anima e corpo alla coltivazione, vinificazione e commercializzazione del “Piccolit”. Il suo manoscritto del “decembre 1761”, intitolato , inizia così:“Quantunque ogni Paese abbia il suo particolar metodo di coltivare le viti, dovendo io così obbligato, descrivere la maniera alla quale m’attengo, non farò altro che dichiarare semplicemente, e come mi sarà permesso dal mio poco talento il modo con cui hò piantata, e vò conducendo la mia piccola vigna in un paese dove da tutti vengono coltivate le viti in tutto diversamente dalla mia vigna stessa; ma il frutto abbondante della mia, non solo non invidia, ma sorpassa di modo quello delle altre vigne ordinarie, che ben paga con usura le fatiche che più delle altre richiede, e in qualità, che è quanto ricercasi da un vero dilettante di questo ramo di agricoltura, ed in quantità, che è ciò che anima a continuar le usate diligenze. Della maniera di piantare, allevare, e condure una vigna a pergolato e del modo di fare il vino piccolit, e di schiarirlo Dirò dunque che la mia vigna piantata la maggior parte di uva detta Piccolit è tenuta a Pergolato sostenuto da pali secchi, è piantata, e condotta nella seguente maniera”. Asquini spiega in dettaglio tutte le operazioni di campagna e di cantina, mostrando propensione verso tecniche innovative per l’epoca: ad esempio l’utilizzo di pali per sostenere le viti e non di tutori vivi (olmi o alberi di gelso, come solitamente la campagna friulana offriva, fino ai primi del Novecento). Oppure la preparazione dei terreni con strati alternati di terra, letame e sassi per il corretto drenaggio. E ancora, il posizionamento della vigna per cogliere il miglior vento e la massima insolazione, la distanza netta ma non eccessiva tra le piante, i sistemi per legare opportunamente i tralci da frutto e l’altezza dell’impianto che non supera il metro e mezzo,“perché, se si facesse più alto, verrebbe a costar molto, e sarebbe più difficile a farlo, mentre abbisognerebbono adoperarsi delle scale tanto per ordirlo, che per cerpire le viti, e spampinarle, e per vendemmiar le uve”. Molte le pagine dedicate alla vinificazione, da cui traspaiono grande rigore nelle varie fasi ed estrema pulizia del mosto, del vino e dei contenitori. Nella produzione dell’epoca, l’empirismo e la mancanza di conoscenze scientifiche regnavano incontrastate. Bisogna attendere almeno un secolo perché Louis Pasteur porti quell’innovazione che segna l’inizio dell’enologia moderna. Asquini fu quindi un precursore, e non solo per la produzione. Le sue capacità commerciali e comunicative potrebbero essere oggetto di studio da parte delle università. A partire dalla sua bottiglia, speciale, di vetro verde, inimitabile; sottile e minuta, soffiata a Murano, come si usa ancor oggi per i contenuti preziosi, con le etichette su cui compariva “Picolit di Fagagna” o “Picolit del Friuli”, un vero e proprio cru. Due le versioni: una dolce, l’altra più amabile e definita secca. I tappi, di qualità eccelsa, erano acquistati a Londra e dopo l’imbottigliamento vi veniva incollata un’etichetta, quasi un sigillo di garanzia. Fioccavano le imitazioni, tanto che il conte invitava la clientela ad acquistare le bottiglie direttamente da lui o dai suoi rivenditori autorizzati per evitare raggiri. Un genio del marketing ante litteram. Il mercato era dominato dai rossi di Borgogna e di Bordeaux, pertanto trovare spazi nuovi era fondamentale: quale settore migliore di quello dei vini dolci? Ben remunerati in rapporto all’alto costo di produzione e soprattutto stabili nel trasporto. Venezia, il porto più importante del Mediterraneo e porta d’ingresso per i principali mercati mondiali, fu subito tra i primi clienti di Asquini. Essendo da secoli il Tokaj il vino dolce di riferimento, risultò vincente penetrare tra i consumatori abituali del nettare ungherese, che in quegli anni soffriva un momento di appannamento. Asquini riuscì a tessere rapporti privilegiati con i nobili di tutta Europa e con l’alto clero. Lo fece in prima persona, ma si affidò anche a prestigiose figure che consolidarono le sue strategie commerciali. Il suo Picolit rappresentava dunque la novità e nel giro di pochi anni non ci fu corte europea che non vantasse in tavola questo vino color dell’oro. La corte di Francia, quella d’Austria, la sede papale e lo zar di Russia furono tra i principali clienti, tanto che ben presto fu definito “il vino dei re”. Un brand costruito non senza fatica e tenuto ai vertici in virtù della qualità costante che il conte teneva sotto controllo anche grazie agli intensi feedback (come si dice oggi) con tutta la clientela. Asquini morì nel 1818. Nessuno raccolse il suo testimone e il Picolit scivolò lentamente verso un inesorabile oblio. Le cause furono diverse, tra cui anche la difficoltà nel riconoscere l’identità organolettica. Qual era il vero Picolit? Il dolce o il secco? Un dubbio al centro dei confronti tra estimatori. Molte anche le produzioni non rispondenti alle originarie caratteristiche, che aumentarono la confusione. Ci vorranno molti decenni per stabilire, con le Denominazioni di origine, che il Picolit è dolce e ottenuto da appassimento. Nel frattempo si tentarono altre coltivazioni fuori dalla Piccola Patria. Giuseppe Acerbi, nel Delle viti italiane del 1825, al capitolo dedicato a quelle conosciute in Toscana scrive: “Uva detta Piccolito. Specie d’uva coltivata nel Friuli, e della quale in quel paese si fa un vino squisito, conosciuto sotto il medesimo nome di Piccolito”. Furono Giacomo Perusini e suo figlio Gaetano a riportare questo vino agli antichi fasti. Agli inizi del secolo scorso i coniugi Perusini Antonini acquistarono la Rocca Bernarda e Giacomo, con attenzione e lungimiranza, si dedicò con abnegazione al vitigno ritrovato tra i vigneti abbandonati di Ipplis. La splendida collina di Rocca Bernarda è sovrastata dall’omonimo maniero cinquecentesco, allora in cattive condizioni, oggi invece uno dei luoghi più ameni della regione, con un panorama da cartolina. Si deve all’immane lavoro di queste due figure il recupero, la selezione e la possibilità di un futuro di questa cultivar. Nel 1972, Gaetano scrive: “Mio padre, settant’anni fa, si era proposto la ripresa della produzione dell’autentico Picolit e ne ha data un’esatta descrizione ampelografica. Ho ritenuto fosse indispensabile partire, per riprendere la sua opera e diffondere il Picolit autentico e veramente di qualità superiore, dalle viti da lui studiate e impiantate. Nel 1935 sono stati messi a dimora duemila ceppi che però hanno mostrato, talora in maniera fortissima, una mancata allegagione”. Perusini evidenzia la caratteristica che è allo stesso tempo il tallone d’Achille e la miglior virtù di questo vitigno. La mancata allegagione o aborto degli acini rende il grappolo scarno, tanto che da un centinaio di potenziali acini, a volte meno di venti riescono a svilupparsi. Molto si è scritto su questo tema. In realtà, l’impollinazione è scarsa poiché il fiore del picolit è fisiologicamente femminile e non ermafrodito, come la maggior parte dei fiori in natura. La fecondazione avviene solo per via entomofila o anemofila, quindi non attraverso la classica autoimpollinazione. Eventuali condizioni climatiche avverse, durante la fioritura, possono complicare le cose, fino a rendere un’annata del tutto improduttiva.A ciò si aggiungono le complicazioni fisiologiche del fiore, quali gli stami estroflessi e lo scaliptramento. Il risultato è un grappolo spargolo, con acini dal contenuto elevato di zuccheri e sostanze: questo rappresenta la forza indiscussa di questa pianta, dalle rese “impossibili”, che spesso non superano la tonnellata per ettaro. Il picolit ha origine in Friuli, questo è certo. Scritti ne certificano la presenza in loco sin dal 1682, ma vi risiede certamente da molto prima. Alcuni studiosi ne hanno ipotizzato la coltivazione anche nel Trevigiano e, come citato, in Toscana, ma un attento incrocio delle date e degli incartamenti non lascia dubbi: picolit e Friuli sono legati a doppio filo. A sigillo di quanto espresso c’è l’autorità di personaggi del calibro di Giorgio Gallesio, Alexandre-Pierre Odart, Gian Luigi Pecile, Giacomo Perusini e altri ancora. Anche la letteratura parla di questo vino. Carlo Goldoni lo cita in una commedia, mentre Ippolito Nievo lo descrive come oggetto di bagordi nel primo capitolo de . Un mito che, nonostante le altalenanti fortune, non smette di brillare. Le confessioni d’un italiano Fu proprio per conoscere personalmente quello prodotto dalla contessa Giuseppina Perusini Antonini che Luigi Veronelli venne per la prima volta in Friuli. Era il 1957. Nella prima edizione dei , del 1959, scrisse in proposito: “Non credo vi sia in Italia vino più nobile di questo, è stato autentica gemma dell’enologia friulana…; potrebbe essere l’orgoglio di tutta la nostra enologia solo se si riuscisse a stabilizzarne la coltura e la vinificazione. Le sue qualità lo renderebbero in Italia, ciò che per la Francia è lo Château d’Yquem”. Emozionante la descrizione di uno dei tanti incontri che seguirono tra la contessa Giuseppina e Veronelli fatta da Walter Filiputti: “Il Picolit di Tano (Gaetano) Perusini era dorato, di un oro molto pallido, lucido e brillante. Ricco di sfumature dolci al naso, ricordava la pesca e l’albicocca mature e il miele d’acacia. In bocca era dolce ma non stucchevole, con una delicata presenza ancora di miele e frutta matura. Era un vino suadente, gentile, delicato, molto femminile, la cui raffinata bellezza andava scoperta lentamente; la sua nobiltà aveva la medesima caratura di quella che possedeva la contessa Perusini, mamma di Gaetano, che visse fino quasi all’età di 101 anni. […] La tavola era apparecchiata fuori, nel giardino che dà sulle vigne. Lei era vestita come un’antica principessa, molto bianco e tanti pizzi. E quel suo sguardo veloce, intelligente e comandino. Il glicine era ancora fiorito. Il pranzo fu, come sempre, eccellente: raffinato nella semplicità dei suoi piatti e nella loro attenta ricerca sia storica che dei gusti. Quel pomeriggio Tano non fu avaro col suo Picolit e ne bevemmo tre bottiglie. Fu un evento”. Di lì a poco Gaetano Perusini venne a mancare improvvisamente e sfumò il progetto di realizzare una facoltà di enologia in Friuli, nonché il passaggio della sua proprietà a un ente che potesse far nascere l’università. Ancora una volta il Picolit subiva un arresto. Nulla però era perduto. Vini d’Italia Isi Benini, giornalista raffinato, gastronomo e innamorato della sua terra, nel numero iniziale della rivista “Il Vino”, del dicembre 1971, scrisse: “Giù il cappello! Vi parliamo di Picolit, l’araba fenice dell’enologia italiana e di quella friulana in particolare”. Le parole di Isi oggi riecheggiano profetiche. Mai vitigno fu più difficile nella coltivazione, mai nessuno così sfortunato nel suo percorso storico, eppure, nessuno più acclamato e famoso. L’istrionico autore continua:“Ci sono quelli che ne hanno sentito parlare, e sono la schiera più fitta, quelli che credono di averlo degustato e quelli, infine, che ne hanno centellinato qualche sorso. E in tutti, in egual misura, è rimasto insoddisfatto il desiderio di poter vantare il possesso di una bottiglia, almeno una, di questo magico, raro e delicato nettare”. Oggi in Friuli si coltivano meno di cento ettari a picolit e le rese sono decisamente basse. La sua diffusione riguarda principalmente le aree collinari udinesi (dove risiede la Docg, sancita nel 2006) e le colline goriziane. Forse troppo poche le aziende che si ostinano a vinificare queste uve “impossibili”, mettendocela tutta per realizzare un prodotto senza eguali. Il Picolit è il Picolit. Dissacrante, a volte, anche tentare di abbinare un piatto, non perché non sopporti le pietanze, anzi, ma perché basta da solo. Per i friulani è il vino della festa, delle grandi occasioni. Il legame con il territorio è strettissimo e parla di rivincite antiche per genti povere, le cui giornate grame non concedevano alcun lusso. Il Friuli, non va dimenticato, all’uscita del primo conflitto mondiale era una delle aree più povere d’Italia. A volte, forse esagerando, sono stati attribuiti a questo nettare meriti curativi, certamente afrodisiaci. Una raccomandazione popolare e spiritosa, riferita ai signori d’una certa età, recita così: “Non offritelo a una signora o a una signorina, perché potreste correre il rischio di sentirvi dire di sì”. Poteri del Picolit. Dario Coos Colli Orientali del Friuli Picolit 2015 14% vol. Andamento climatico: ottima annata. L’azienda di Ramandolo ha nel proprio Dna la produzione di vini dolci. Riesce ogni anno a emozionare l'appassionato che ama i vini dolci, Verduzzo o Picolit che sia. La zona di produzione, sotto il monte Bernadia, è piuttosto fredda, con escursioni termiche notevoli; sovente, in vigna compare la muffa nobile con i suoi apporti benefici. Le piante sono poste alla sommità dei piccoli vigneti scoscesi, dove la ventilazione favorisce la difficile impollinazione. La lavorazione è particolarmente ardua a causa delle forti pendenze. Giallo paglierino dai riverberi dorati. Esuberanti freschezze floreali della giovinezza, fiori d’arancio, menta piperita, pesca gialla, gelatina di pera e miele di fiori. Leggeri soffi speziati accompagnano lievi tostature di mandorle e nocciole. L’avvolgenza glicerica segna il sorso iniziale. Lentamente si apre alla spinta acida che ben proporziona il palato. L’epilogo si adagia su suadenti percorsi tostati. Barrique per 12 mesi. Ermacora Colli Orientali del Friuli Picolit 2014 13,5% vol. Andamento climatico: annata piovosa. I fratelli Ermacora coltivano questo vitigno da oltre trent’anni sulle colline di Premariacco. Molte le assonanze con un altro vitigno storico aziendale: il pignolo. Uve entrambe difficili, dalle rese incerte e comunque misere. Richiedono dedizione costante in campagna e in cantina. Le difficoltà oggettive sono la prova che gli ottimi risultati, ininterrotti, ottenuti da Dario e Luciano, sono espressione della loro grande capacità di vignaioli. Le uve, dopo la vendemmia, rimangono ad appassire in cassetta per oltre 3 mesi. Oro pieno e luminoso. Essenze molteplici e distinte, raffinate. Fiori gialli estivi, pesca gialla, succo di albicocca e chips di ananas. Intensi respiri di agrumi e delicate sfumature balsamiche. Biscotti al limone, miele di fiori e spezie dolci, nocciole. Al palato è setoso, pieno, dolce, equilibrato da freschezze agrumate e minerali. Corrispondenze finali incessanti nei temi fruttati e speziati. Fermentazione e sosta in barrique nuove per oltre 15 mesi. Specogna Colli Orientali del Friuli Picolit 2013 13,5% vol. Andamento climatico: annata calda ma equilibrata. La collina è quella di Rocca Bernarda, uno dei cru più vocati. Le viti, vecchi biotipi, hanno più di settant’anni e giacciono esposte a mezzogiorno. Le vecchie piante garantiscono un prodotto limitato nella resa, ma di superba qualità organolettica. L’annata perfetta enfatizza questi pregi. La famiglia Specogna, stirpe autentica di vignaioli, ha una sintonia speciale con i vitigni della tradizione friulana e questa cultivar gode un posto privilegiato. Mantello dorato e lucente. Subito profumi di pesca sciroppata, ananas e albicocca disidratata. Leggeri echi fumé introducono la pasta di mandorle e regalano personalità, così come l’inconfondibile aroma dello zafferano e i delicati sbuffi agrumati. La bocca è inizialmente sottile, poi sempre più avvolgente. I richiami sono immediati e governano l’intero percorso gustativo dalla trama elegante. Dolce e simmetrico, sfuma accompagnato da freschezze officinali. Matura in barrique d’acacia. La Roncaia Colli Orientali del Friuli Picolit 2011 14% vol. Andamento climatico: buona annata, tendenzialmente calda. La piccola azienda di Cergneu, frazione di Nimis di fronte a Ramandolo, è immersa nel fitto bosco della pedemontana delle Prealpi Giulie, nell’alta valle del Torre. L’ambiente è suggestivo e severo. Una vera oasi di pace a pochi minuti dal caos cittadino. Qui i vignaioli si dedicano da sempre ai vini più difficili, quelli dolci, quali Ramandolo, Verduzzo e Picolit. Una tradizione che richiede sforzi immani per le forti pendenze dei terreni. Fatiche ripagate da nettari meravigliosi, senza pari. Veste oro purissimo. Profumi dolci contraddistinguono ed emozionano il primo naso. Caramella d’orzo, datteri, miele millefiori, agrumi canditi, piccole spezie dolci e vaniglia. Seguono pesca sciroppata e succo di mela. Resine e balsami marini completano e impreziosiscono. Setoso, aggraziato, retto da adeguata freschezza che rende la beva una vera emozione. I ricordi indugiano lenti e corrispondenti sui toni del miele. Fermentazione e maturazione in barrique. Angoris Colli Orientali del Friuli Picolit 2011 14% vol. Andamento climatico: buona annata, tendenzialmente calda. La storica azienda di Cormòns vanta un prezioso vigneto a Rocca Bernarda impiantato a picolit. L’esposizione ottimale e le cure di campagna regalano uve di qualità insuperabile, trasformate in un’ambrosia sorprendente a ogni vendemmia. È un biglietto da visita eccezionale e concreto, che esprime la cifra qualitativa del lavoro svolto per giungere al grande risultato. Giallo dorato intenso. Sequenza odorosa di rara bellezza, che inizia dai sentori floreali di tiglio, zagara e acacia, poi miele scuro, frollino agli agrumi, pesca sciroppata, albicocca e ananas disidratati, vaniglia e guizzi resinosi, spezie e polvere di caffè. Sorso profondo ma delicato, soave. Tensione perfetta tra materia glicerica e vibrante freschezza. Lunghissimo finale di agrumi canditi e zafferano. Vendemmia tardiva e appassimento in cassetta. Tonneau per lunghi mesi sui propri lieviti. Butussi Colli Orientali del Friuli Picolit 2010 13% vol. Andamento climatico: annata mediamente fredda e in parte piovosa. Angelo, con la sua famiglia, è un grande cultore di questo vitigno, che coltiva da sempre. L’azienda si trova a Prà di Corte, località di Corno di Rosazzo che guarda la collina di Rosazzo. Una passione che si può vedere anche nella storica collezione di bottiglie di Picolit, della prima metà del 1800. La piccola produzione, appena 2000 bottiglie da mezzo litro, non rientra nel core business aziendale, ma certamente rappresenta l’orgoglio di vignaioli friulani. Ambra luminosa. Suggestioni calde, quali miele, caramella d’orzo, agrumi canditi, fico e frutta disidratata. Intense folate balsamiche e saline completano l’accattivante quadro odoroso che, come si conviene a questo vino, è sussurrato, mai gridato. Ingresso vellutato, ben proporzionato da adeguata freschezza sapida che rende la beva eccellente. Continui richiami alla frutta con l’aggiunta di delicate spezie e brezze di mare. Legno grande per 16 mesi. Gigante Colli Orientali del Friuli Picolit 2008 13% vol. Andamento climatico: annata umida, poco luminosa. Si tratta di una delle versioni più importanti dell’azienda di Corno di Rosazzo, con vigneti situati a Noax, nell’area collinare di Rocca Bernarda. Adriano ama profondamente questo vino. Una passione che lega da oltre sessant’anni la famiglia Gigante a questi luoghi e ai grappoli dorati che produce. Il microclima ottimale assiste benevolo ogni fase della produzione e gioca un ruolo fondamentale durante l’appassimento delle uve. Giallo oro con suadenti sfumature ambrate. Olfatto raffinato e intrigante. Subito un mix di agrumi e resine, erbe mediterranee essiccate e balsamo marino. Frollino al limone e vaniglia, spezie dolci e confettura di mandarini. Miele di castagno e note iodate. Perfetto tra dolcezza e vivacità acida. Pieno e avvolgente, ma dalla beva sottile grazie all’ottima freschezza che accompagna il finale lentissimo, appagante e magico. Fermentazione per 20 giorni, poi 24 mesi in barrique, infine 12 in bottiglia. Dorigo Colli Orientali del Friuli Picolit 2007 13,5% vol. Andamento climatico: ottima annata, equilibrata ma piuttosto calda. La famiglia Dorigo ha il merito di aver raccolto la sfida del Picolit, contribuendo a rinnovare il suo successo. Da almeno trent’anni dedica impegno e costanza a questo vino friulano. L’area di produzione è quella di Buttrio e Premariacco; colline accarezzate dalle brezze adriatiche che mitigano i freddi venti alpini. Selezione dei grappoli nelle piante che già producono pochissimo. Appassimento sui graticci e spremitura nel torchio, a mano, secondo la più antica tradizione. Ha il colore dell’ambra purissima. Corredo odoroso ricchissimo e lieve come il velluto. Si rilevano, in rapide successioni: agrumi, corbezzolo, fiori di tiglio e salvia essiccata. Chips di ananas, miele di castagno, sciroppo di mele e albicocche. Decise note iodate e balsamiche. Il sorso è cremoso, lento e appagante. L’allungo conduce al contrappeso perfetto. Si congeda, senza fretta, tra sensazioni di pesche sciroppate, resine e vigorosi riverberi marini. Livio Felluga Colli Orientali del Friuli Picolit 2006 14% vol. Andamento climatico: annata regolare. Le uve provengono dagli assolati filari di Rosazzo, un cru che segna in modo indelebile la storia dell’enologia friulana. Questo nettare è tra i migliori vini dolci d’Italia, di sempre. Una consuetudine aziendale che il patriarca Livio ha sempre mantenuto e che i figli proseguono nel suo ricordo. Vendemmia novembrina per questo millesimo straordinario. Tutto avviene nel rispetto della tradizione più classica, dall’appassimento alla diraspatura. Seguono la pressatura e la fermentazione nel rovere. Paglierino dorato, luminoso. Effluvi dolci e intensi di pesche e albicocche disidratate, frollino al limone, corbezzolo, mandorle e nocciole tostate, temi iodati, mentolo e polvere di erbe essiccate. Al palato è una vera esplosione di sapori e di concentrazione. Mai stucchevole, possiede freschezza e sapidità che rendono la beva bilanciata, perfetta nel suo lento divenire. Il finale è interminabile, con richiami mielati e balsamici. Matura in legno per 18 mesi. Sara & Sara Colli Orientali del Friuli Picolit 1999 13% vol. Andamento climatico: annata regolare. Savorgnano del Torre è l’altra faccia del Picolit, poiché si trova all’estremo nord dei Colli Orientali. Gli sbalzi termici dati dai monti Musi, con il monte Canin, e l’umidità del fiume Torre favoriscono la muffa nobile. Colline disegnate per stupire il visitatore e piccolissimi appezzamenti vitati, arcaici, sopravvissuti a ogni genere di eventi. Alessandro e la sua famiglia continuano la tradizione dei vini dolci con risultati eccellenti. Oro brillante. Ventaglio olfattivo di rara emozione, delicato inizialmente. Sorprende poi per le resine, l’incenso, l’amaretto, lo zafferano, l’humus e la roccia umida. Il miele di zagara precede le nette sensazioni agrumate e saline. L’eleganza del gusto non ha pari. La sua lentezza evidenzia una miriade di sfumature aromatiche che rendono la beva indimenticabile. Il corpo è sottile, in equilibrio perfetto tra dolcezza e freschezza sapida. La chiusura è marina, succosa, dagli infiniti ricordi basamici. Piccoli legni di Francia lo custodiscono per lunghi mesi.