i terroir del Meunier Autore C’è del terroir nel Meunier? La domanda è chiarissima, ma la risposta, anzi le risposte non sono del tutto ovvie e non si limitano a un generico sì. Nella Champagne sono stati identificati diciassette areali produttivi, alcuni ampi come il Barséquanais o la Grande Montagne de Reims, altri sono veri e propri fazzoletti viticoli, come il Montgueux o il Mont de Berru; al loro interno gli scrigni enoici sono disseminati ovunque. Rispetto ai coinquilini di vigneto, il meunier (così è chiamato familiarmente in Champagne) non è presente in tutte le zone. È lo chardonnay il vitigno che caratterizza il territorio, con presenza ovunque e percentuali minime mai inferiori all’1,5%. Il pinot noir, allocato in areali distinti, si concentra nella Côte des Bar, seguita dalla Montagne de Reims, mentre in zone come Vitry-le- François e Montgueux sfiora l’inesistente (rispettivamente 0,4 e 0,15%). La produzione del meunier si estende soprattutto nella faccia marina della Champagne, con 10.880 ettari, corrispondenti al 32 per cento del totale, concentrati tra la Vallée de la Marne, quella dell’Ardre e il Massif de Saint-Thierry, scomparendo a Montgueux (0,01%) e a Vitry-le-François (0,05%). Il meunier vagabondeggia per la Champagne. Varietal dalla personalità nordica, in alcuni areali è l’ingrediente principale della ricetta, in altri rappresenta quel tanto che basta per rendere meno ovvia la dualità pinot noir/chardonnay della cuvée. Fra le tre uve della Marne il meunier ha un’attitudine più neutrale, come un cuscinetto di non belligeranza tra le imponenti personalità ampelografiche degli altri due, una specie di free-zone in cui i contendenti si rigenerano tra un assemblage e l’altro. Questo carattere enologicamente pacifico diventa un’incertezza se si tenta di fissare un punto di contatto con il terroir, relegandolo in un alone di marginalità teatrale, da attore non protagonista. Eppure, se mettiamo sul tavolo della discussione prima il terroir e poi il meunier, ecco apparire scenari molto interessanti. Occorre chiarire cos’è il terroir nella Champagne. L’etimologia non è certa, ma converge su un gallicismo d’origine latina di cui il mondo rurale francese si è appropriato, rendendolo intraducibile. Per il vigneron champenois il terroir è il suolo della sua vigna. La parola apparve per la prima volta nel 1961, impiegata da Max Derruau per dare identità a una porzione di territorio; l’abbinò alla collina e a un fondovalle, evidenziando la loro diversità geomorfologica e le caratteristiche fisiche intrinseche, dal punto di vista agronomico, come il rilievo, l’esposizione, il suolo e il microclima, e gli interventi migliorativi dell’uomo, come il drenaggio, l’irrigazione, gli sbancamenti e i terrazzamenti. Questa rappresentazione del terroir diventa quindi spazio, uno spazio di coltivazione a vigna, cui si abbinano i vitigni, le rese per ceppo e per ettaro, e pure le tecniche di maturazione in vigna e di lavorazione in cantina, mirate a regolamentare e migliorare la qualità. Il campo viticolo è quello che per primo ha assorbito il concetto di terroir e nel corso degli anni lo ha sviluppato, affinato e rifinito. Nel 1990 il geologo Laville parla anche di criteri naturali non facilmente modificabili dal vignaiolo: il volume biosferico terreste (anche quello del vigneto) è caratterizzato da specifici valori raggruppati nei rilievi, nel clima, nel suolo e sottosuolo e il vignaiolo deve condividere con la biosfera i fattori ideali per far crescere la vite. Nella Champagne cerca la pendenza maggiore e un’esposizione sud-sud-est per posizionarsi nel miglior angolo di incidenza con i raggi del sole, che si traducono in migliore insolazione e alimentazione per la vigna. Individua nel versante la posizione in cui l’aria fredda scivola a valle, limitando le gelate primaverili. Affonda le mani nello strato superficiale, lo scruta, lo soppesa per cogliere quella porosità che evita ristagni di umidità e magari con la stagione secca diventa una riserva d’acqua (gesso e calcare in Champagne assolvono a tale compito). Anche ciottoli e sassi in superficie hanno una funzione modulatrice biosferica, perché nel ciclo annuale della vite hanno il ruolo di accumulatori termici, riscaldando il suolo in primavera. Al terroir non può essere assegnata una sola definizione, è un’intersezione di varie centricità. Negli anni 1995, 2001 e poi 2003 sono comparse diverse definizioni di terroir per opera di Emmanuelle Vaudor, e queste variabili sembrano cucite su misura anche al meunier. Si tratta dei concetti di terroir agricolturale o materia, di terroir spazio, di terroir coscienza o identità e di terroir slogan. Il terroir agricolturale o materia è l’aspetto agronomico del terreno, cioè l’insieme delle potenzialità naturali in grado di far nascere una specifica produzione, misurata nella relazione tra la qualità prodotta e l’attitudine agronomica dell’ambiente coltivato. Il terroir spazio è lo spazio (areale) produttivo del vigneto, modulatosi come tale con la conquista del territorio e la sua gestione attraverso le epoche della storia; questo spazio, diventando territorio viticolo, viene giuridicamente organizzato e delimitato per dare identità alla denominazione di origine. Rapportare i primi due concetti al meunier è generalizzante, perché il terroir agricolturale è attinente in senso lato a tutta l’estensione viticola delle varie anime geografiche del territorio Champagne (25.602 km ), mentre il terroir spazio è l’insieme dei vigneti di quel territorio che la conquista agronomica ha selezionato come areale viticolo: 34.000 ettari, 281.000 parcelle, altitudine media tra 90 e 300 metri, pendenza massima del 60 per cento e media del 12. Nel terroir spazio si manifesta il vero intervento del vignaiolo, che sviluppa, modifica e migliora la vigna, utilizzando tutte le astuzie del caso, incluse le invenzioni. Nel terroir spazio il vignaiolo pianta le viti nel versante con il miglior suolo e sottosuolo e con l’esposizione più appropriata, attuando perfino modifiche alla topografia, magari costruendo dei terrazzamenti o apportando materiali, come la lignite nelle vigne più ripide coltivate a pinot noir nella Grande Montagne de Reims: tutto è fatto per servire la vigna. 2 A questo punto interviene il terroir coscienza o identità, il più coeso con il terroir spazio, perché è l’adattamento alle condizioni naturali che costringono a effettuare alcune pratiche, come specifiche tecniche di taglio della pianta - ad esempio il taglio chablis per lo chardonnay e il vallée de la Marne per il meunier -, oppure l’aspersione, come avviene nell’Aube a Celles- sur-Ource per salvare il pinot noir dalle gelate. In questa dimensione di terroir, il meunier è stato pensato come identità di coltivazioni nelle zone climaticamente meno favorevoli e con difficile esposizione, o con suolo e sottosuolo in cui l’energia del gesso è meno reattiva. Ecco spiegati i 6400 ettari nella Vallée de la Marne contro i 5 a Vitry-le-François; in ogni realtà produttiva si inserisce la coscienza del territorio che porta il vitigno meunier a presentarsi uguale e diverso, avvinghiandosi con le radici a particolari sfumature di terroir e offrendo al degustatore diversità organolettiche. A chiudere il cancello del “meunier corral” giunge infine il concetto di terroir slogan,l’ultimo a essersi affermato. È il terroir pubblicitario, fatto di frasi che colpiscono, cui si associano forme di commercializzazione per mettere in risalto i valori rurali, ecologici e pubblici di tutta la filiera. Il terroir slogan ha premiato di più chardonnay e pinot noir; il meunier ha sofferto la potenza dei due colossi champenoise, e già il fatto di essere riuscito a salvarsi, nonostante un lento e costante regresso areale, ha innescato una spinta di autostima che in taluni casi ha prodotto novità eccellenti. Il ospita solo 26 ettari di viti a meunier. Il vino si miscela nei tirage di alcuni dei 177 coltivatori, confondendosi tra chardonnay e pinot noir. Il terreno non è ideale per via dell’alta percentuale di sabbia con lignite e sabbia marina; molto gesso bianco e poca argilla, anch’essa con lignite. Mont de Berru Nella Grande le condizioni cambiano. Il suolo è gessoso (belemnite), ma va in profondità; non del tutto ottimale è piuttosto la combinazione di calcare e calcare marnoso; le rocce da colluvione aiutano in sostanza minerale. Montagne de Reims Nella parte esposta a nord, tra Villers-Allerand e Rilly-la-Montagne, i 631 ettari di meunier danno un vino caratterizzato all’olfatto da profumi di piccoli frutti di bosco, rossi e bianchi, e da una leggera brezza di muschio che crea una certa “terrosità”. Al palato l’acidità è satinata, il gusto è di composta di frutta, con finale speziato. Non dà garanzia di lunga resistenza all’autolisi, quindi è ideale nella versione multiblend. A nord-est, l’areale tra Mailly-Champagne e Verzy possiede un terreno molto calcareo, che non favorisce il meunier: ingiallisce troppo presto, porgendo velocemente la guancia ossidativa della mela gialla appassita e sciogliendosi in energia. Sono solo 78 gli ettari: il terroir coscienza ha colpito. La parte orientale della Montagna di Reims, tra Villers-Marmery e Trépail, ha suolo marnoso calcareo, senza lignite né roccia da colluvione; l’esposizione è buona, ma per il meunier l’ambiente è inospitale. Scendendo nello straordinario terroir della , il meunier non rifiorisce e la mitica Saint-Jacques d’Ambonnay è a lui preclusa a favore del pinot noir, che ha bisogno di sole. I 25 ettari di coltivazione si trovano altrove, specialmente a Tauxières- Mutry. Grande Montagne de Reims Qui il vino mostra un carattere alquanto timido, confuso tra un indistinto fruttato di pera williams e vaghe note di gelsomino; trova una bilanciata dimensione strutturale con poco tempo di autolisi, ed è usato quasi esclusivamente nelle versioni multimillesimate brut per massaggiare le spigolosità del pinot noir e dello chardonnay, evitando un dosage elevato. C’è anche l’altra Montagne, quella che si estende nella faccia marina, il Massif de Saint Thierry e la Vallée de l’Ardre, meglio identificabili in Vesle e Ardre. hanno un suolo con più presenza sabbiosa, poi marne e argilla da sedimento alluvionale, gesso del micraster; l’esposizione talvolta è sfavorevole, a nord- ovest. La parte alta dei vigneti è dominata da una combinazione argilloso-calcarea, quella bassa è argilloso-marnosa, entrambe adatte per mettere in atto il terroir coscienza, che però sconsiglia il meunier nella parte alta quando c’è molto calcare, concentrandolo in basso. Gli ettari coltivati sono 1625. Il Meunier assorbe tutta la maturità del fruttato di pera e albicocca, quest’ultima anche candita. La sua effervescenza raggiunge l’energia di un’acidità cremosa, ben diversa dall’acidità lime del pinot noir. Può anche offrire un profumo di legno di liquirizia e dilungarsi in un finale floreale. Dà l’impressione di un potenziale di arricchimento organolettico quando l’autolisi supera i quindici mesi di legge, ma bisognerebbe intervenire sulla resa per garantire più durata. Vesle e Ardre Il apparentabile geograficamente alla Montagne de Reims, ha un’identità diversa poiché si trova nella faccia marina, mentre la Grande Montagne giace su quella continentale. Il suolo è prevalentemente sabbioso-argilloso, con argilla marina, e argilloso-calcareo. Il riscaldamento del terreno è rapido, ha media fertilità e la base è gessosa, il bianco micraster. La combinazione sabbia e argilla di origine cenozoica è ottimale per coltivare il meunier. Dai 279 ettari si ricava un vino con espressioni olfattive di frutti come ribes, pera e pesca bianca, tutto rinfrescato dai toni di arancia e limone. L’effetto gustativo è un’acidità cremosa, in versione gelatina di agrumi, o bon bon aciduli inglesi; una lievissima sostanza minerale conferisce molta eleganza, rinforzando il tono e allungando la resistenza all’autolisi. Quando si parla di , l’associazione è quasi unica: pinot meunier a tutto tondo. In realtà, il comprensorio viticolo è complicato dalla diversità dei suoli miscelati tra argilla, calcare, gesso del micraster e sabbia. Poi ci sono le ondulazioni collinari, le dolci pendenze e le esposizioni contrastate. La Vallée è segmentabile in sette distinti terroir, per esigenze di rappresentazione viticola ristretti a cinque: Grande Vallée de la Marne, Vallée de la Marne rive droite, Vallée de la Marne rive gauche, Coteaux Sud d’Epernay e il generico Vallée de la Marne. Vallée de la Marne La si trova a est, nella faccia continentale, attaccata alla parte sud della Montagne de Reims. Il gesso di belemnite si miscela con l’argilla umida e quella silicea; c’è anche del limo rosso. Grande Vallée de la Marne Gli ettari coltivati a pinot meunier sono 283, e la coabitazione organolettica con il pinot noir fa molto attrito. Il vino da meunier ha tratti olfattivi che scompigliano la tradizione: il fruttato si fa maturo, il floreale appassisce presto, l’agrumato diventa quasi marmalade, quasi piena pâtisserie. Una calda energia “cuoce” il rinfrescante fruttato e allunga una liquidità soffice, fortunatamente chiusa da un po’ di mineralità. Nel distretto dei , parallelo alla Côte des Blancs, con una microcordigliera collinare che lo fa alloggiare nella faccia marina, il pinot meunier trova terra con argilla e limo per le radici affamate di mineralità; il gesso è del micraster e il limo è quasi affiorante, mentre il calcare è minoritario. Gli ettari sono 591, con esposizione sud-sud-est. Il profumo del Meunier si riconosce per lo spunto di kumquat, di albicocca, mentre al gusto si ripropone con la cremosa effervescenza che tanto ricorda la frutta a pasta gialla, o talvolta la croccante consistenza della mela verde, ma la mineralità necessaria per insaporire il corpo è spesso in sofferenza, quindi vira verso un vigore alleggerito eppure ammiccante in eleganza. Coteaux Sud d’Epernay Nella il terreno è argilloso e calcareo, con più tendenza marnosa, un’umidità giusta e una freschezza quasi ideale per il meunier, le cui vigne non sono esposte a sud. Molto interessante è la parte olfattiva di frutta grigliata, anice stellato e leggera vaniglia; è un po’ fumé e sfuma in una nota di talco. La struttura gusto-olfattiva è costruita in una cremosità frizzante rinforzata dalla sapidità, componendo un effetto carbonico dal finale al caramello e di scorza di limone, che dà tono alla persistenza. Vallée de la Marne rive gauche La offre al pinot meunier un ambiente dal sottosuolo argilloso- calcareo a tendenza marnosa, con gesso del micraster variamente miscelato. La marna genera una freschezza inferiore alla rive gauche, mentre l’esposizione sud favorisce una migliore maturazione. I toni olfattivi sono spesso fruttati, di pera williams e pesca bianca, molto fragranti nelle versioni ad autolisi corta; sostando più a lungo sui lieviti, il fruttato matura, appropriandosi di un floreale a spunto dolciastro, un po’ di speziato, di biscottato, di nocciolina e pinolo. Al palato la fresca acidità lascia emergere toni agrumati, con un effetto di una salata burrosità nel finale. Alcune vigne di Dizy, a condizioni climatiche favorevoli, sono in grado di far maturare il pinot meunier con un bilanciato rapporto acido/sapido che gli permette di affrontare anche lunghissime autolisi, a patto che sia lavorato in acciaio o cemento. A testimoniare l’inclinazione di questo terroir verso il meunier ci sono gli ettari coltivati: 2167. Vallée de la Marne rive droite La zona restante della , quella che si avvicina a Parigi, ingloba altri due terroir: (574 ettari) e (1662 ettari). Le variabilità del terreno non differiscono dagli altri areali, la grande differenza sta spesso nell’esposizione. Qui il Meunier possiede spunti olfattivi fruttati, spesso di pesca e mela golden, talvolta albicocca, pesca noce e pera, mentre l’agrume vira al mandarino. L’acidità parte con l’effetto fresco e scivola nella composta di frutta, nel fico bianco, nella pera e nella mela essiccata, chiusa talvolta da un’idea di granito. Vallée de la Marne Terroir de Condé Vallée de la Marne ouest Ripercorrendo a ritroso la Marne in direzione Épernay, poco dopo Vauciennes si entra nella faccia marina e si ritrova il gesso di belemnite. Da Épernay si vira a sud nella , che, lo dice già il nome, è da uva bianca. I vigneti hanno una pendenza mediamente ripida, affiora il gesso e c’è molto calcare, con drenaggio ottimale. Il bosco in cima alle colline che protegge dal vento e dalla forte pioggia e l’esposizione a est fanno di questa striscia una serena alcova per lo chardonnay. Il sottosuolo non è per nulla favorevole invece al meunier, coltivato solo in 27 ettari e privo di una nitida personalità. Côte des Blancs Lasciata alle spalle la Côte des Blancs, la linea che demarca la faccia continentale da quella marina si incurva e lascia la in pieno areale marino. Il suolo mostra argilla, calcare, silice, ma siamo pericolosamente al confine con la “Champagne umide”. Nella parte nord, nei pressi di Congy, il meunier trova spunti di eleganza e di mineralità, a sud invece offre vini con un vigore un po’ scomposto al primo impatto. Gli ettari adibiti a meunier sono 423. La personalità gusto-olfattiva manca un po’ di temperamento minerale, mentre all’olfatto c’è abbondanza di fruttato, di pera williams e di mela rossa. Nelle annate in cui l’acidità riesce a mantenersi e a sprigionarsi nella cuvée, la struttura si fa più energica in freschezza, lasciando il finale immutato: brioche, agrumi e frutta matura. Poco al di sotto del Petit Morin si entra nella , custode storico della viticoltura champenoise grazie al ritrovamento dell’ancestrale vite pre era glaciale, la . Qui si può davvero parlare di “Champagne umide”, infatti calcare e gesso sono più umidi, non freschi come piace al meunier, l’argilla è lignifera con molluschi salmastri. Con buona esposizione est- sud-est, i dolci declivi dei vigneti forniscono uno spazio terroir per la vigna, ma non per ospitare il meunier. La produzione dei 69 ettari confluisce tutta nelle cuvée di più annate. Val du Petit Morin Côte de Sézanne vitis sézannensis Lasciato il Sézannaise, la sosta viticola è nell’areale di terroir agricolturale chiamato Côte Champagne per via del ritorno del gesso nel sottosuolo. La macrozona contiene due terroir spazio: e . Gesso affiorante in entrambi i casi, nel primo ci sono argilla e silex, con porzioni calcaree, nel secondo anche gesso grigio e poca argilla. A partire dalla mezza costa il basamento si fa più calcareo e quindi foriero di mineralità, però l’umidità è maggiore rispetto a Montgueux. Il pinot meunier diventa un ago nel pagliaio, con 0,9 are a Montgueux e 5,54 ettari a Vitry: di liquido in giro se trova poco e quel poco va tutto nelle cuvée per un’autolisi breve. Infine la , contrassegnata da marna, calcare e argilla con limo; la sparuta presenza di gesso rende il terroir agricolturale più omogeneo. Il clima oceanico è scomparso e subentra quello continentale; nel complesso fa più freddo e più caldo rispetto alle vigne settentrionali. Due gli areali: con 174 ettari di meunier, e che, pur custodendo vigneti in quattro Vallée (de l’Arce, de la Laigne, de l’Ource e de la Seine), ha poco più di 90 ettari piantati a pinot meunier. La difficoltà di rintracciare la mono produzione non consente di chiarire il profilo organolettico, che comunque è all’olfatto molto fruttato, con floreale fresco alternato a quello un po’ appassito e un accenno di balsamico, mentre la struttura vede freschezza e sapidità pari, ma non incisive, modulando una gradevolezza che sguscia in un finale suadentemente soffice, qualche volta anche troppo. Montgueux Vitry-le-François Côte des Bar Bars-sur-Aubois Barséquanais Il Meunier per Champagne si esprime con più uniformità, sembra indossare più una divisa che una veste smart, e fin dal primo sorso lo si apprezza per la franca immediatezza. Anche se manca di sprint, non si può negare che in selezionati terroir coscienza possieda una sorprendente propensione ad assorbire tutta la maturazione organolettica di autolisi medie e lunghe, ottenendo un’ampiezza di profumo che arriva al terziario speziato di ginger bread e di piccoli frutti tostati, di pinolo, compresa la balsamicità della sua pruina, avvicinandosi a certe evoluzioni del Pinot noir. E c’è chi suggerisce: meglio un Meunier oggi che un Pinot domani.