polpette a tutto tondo
Morello Pecchioli

Le polpette sono una delizia dall’incontestabile valore etico: gli avanzi della tavola risorgono a nuova vita nelle morbide e avvolgenti consistenze di una specialità dalle sfaccettature planetarie.

“Cara mamma, mi avete fatto mangiare fin da bambino tante di quelle polpette, che ho ritenuto giusto farle assaggiare anche ai personaggi del mio romanzo”: è la risposta che Alessandro Manzoni dà alla curiosa Giulia Beccaria, sua madre. L’intelligente nobildonna, intuendo probabilmente la risposta, aveva chiesto all’illustre figlio scrittore perché avesse fatto mangiare, all’osteria, un tegame di polpette a Renzo,Tonio e Gervasio. La scena è descritta nel settimo capitolo dei Promessi Sposi, quello che precede la notte degli imbrogli. “Vi porterò un piatto di polpette”, aveva promesso l’oste al Tramaglino, “che le simili non le avete mai mangiate.”


Ai tempi del Manzoni Milano era la capitale italiana delle polpette. Non c’era famiglia nobile o borghese, osteria o taverna, mensa conventuale o collegiale in cui non fossero messe in tavola le polpette, o mondeghili (polpette passate nel pangrattato, nel tuorlo d’uovo e ancora nel pane grattugiato, come si fa con la costoletta alla milanese, e, infine, fritte). Se non quotidianamente, quasi. Ce lo confermano i ricettari dell’epoca e i libri di cucina editi nel capoluogo lombardo nel XIX secolo, tra cui Il cuoco senza pretese, di Antonio Odescalchi, La cucina degli stomachi deboli, di Giuseppe Bernardoni, Il cuoco milanese e la cuciniera lombardo-veneta, di autore anonimo. Vi si trovano le ricette per fare polpette alla fiorentina, alla francese, alla piemontese, alla romana e, naturalmente, alla milanese o alla lombarda. La base è sostanzialmente uguale per tutte: avanzi di carne cotta, pangrattato, uovo, sale e pepe. Poi ci sono gli ingredienti aggiunti: formaggio, spezie, uvetta passa, pinoli... Di tutto e di più. Oltre al Manzoni, anche Carlo Porta, il maggior poeta milanese, nel Meneghin biroeu (servo) di ex monegh, usa la vivanda a fini letterari per dare un soprannome significativo a un suo personaggio: on rangogn (brontolone) d’on pretascion (pretonzolo) ch’el ciamen el polpetta de rognon”.