È ormai consuetudine utilizzare l’equazione Sardegna-Cannonau alla ricerca di una facile espressione vinicola per identificare il territorio isolano. E il Cannonau è stato ed è tuttora un simbolo per l’isola, rappresentazione liquida dell’imponenza dei Giganti di Mont’e Prama, incarnazione dei valori della Balentìa, quella vera, coraggiosa e virtuosa, raccontata anche da Sergio Atzeni, e non le degenerate versioni macchiettistiche in odor di bullismo che ne hanno snaturato il concetto.
È vero altresì che un territorio vasto e diversificato, tanto da essere definito isola-continente, con terreni costieri sferzati dai venti marini, assolate pianure dell’interno, dolci colline che in alcuni casi si spingono ad altitudini da media montagna, e così via, mal si presta a definizioni univoche e semplificatorie.
Fare un ritratto del Cannonau in Sardegna è un’operazione complicata, una vera e propria sfida. Ma le sfide sono fatte per essere affrontate e non ci tireremo indietro, partendo proprio dai “sacri testi”, ossia il disciplinare di produzione. Un testo che, tra le altre cose, ha ratificato una consuetudine consolidata negli anni: era (ed è) molto raro incontrare cannonau vinificato in purezza, visto che la quasi totalità delle vigne prevedeva la presenza di alcuni filari di altre uve - in prevalenza pascale e bovale sardo, o muristellu - che apportavano minimi correttivi al blend definitivo. Ci sono ovviamente lodevoli eccezioni, come la maggior parte dei vini proposti più avanti.
A lungo si è ritenuto che il vitigno cannonau fosse stato portato sull’isola dagli spagnoli: da qui l’apparentamento con i grenache che, con diversi appellativi (alicante, garnacha, tocai rosso, ecc.), sono diffusi in diverse aree del Mediterraneo, tanto che dal 2000 sono indicati come sinonimi nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite e negli ultimi anni anche il Cannonau è stato inserito nel concorso internazionale Grenaches du monde. Le più recenti scoperte hanno tuttavia dimostrato la presenza del cannonau in Sardegna in epoca ben precedente alla dominazione spagnola, facendo sì che possa essere considerato, oltre che autoctono, uno dei vitigni più antichi del Mediterraneo. La superficie vitata in Sardegna è pari a 27.200 ettari, di cui il 27 per cento in collina; per il 40 per cento i vigneti sono ancora coltivati ad alberello. 7300 sono gli ettari impiantati a cannonau. Nell’ultimo triennio, la produzione di vino nell’isola è stata mediamente di 550.000 ettolitri l’anno, con una leggera prevalenza per i rossi. Ogni anno sono circa 71.000 gli ettolitri di Cannonau di Sardegna Doc prodotti, pari a 9,5 milioni di bottiglie, che rappresentano un quarto di tutto il vino Dop prodotto nell’isola. Elevatissima la quantità di cannonau che finisce nelle altre Doc, nelle Igt, nei vini generici; si stima che, sul totale del Cannonau prodotto, il Doc rappresenti solo il 22 per cento. Nelle province di Nuoro e Ogliastra il cannonau costituisce la quasi totalità del vigneto; un ruolo decisivo è giocato dall’elevata altimetria dei suoli che ospitano le viti, con evidenti ripercussioni nell’accumulo di sostanze coloranti, nella maggiore acidità e nella definizione del profilo aromatico grazie alle forti escursioni termiche.