il vitigno del perdono Gaetano Palombella Custodita dalle prime colline reggiane, incastonata come una gemma preziosa tra le bianche argille, trova dimora la spergola, rara espressione di vitigno a bacca bianca in un terroir vocato ai rossi lambruschi. Poco più di cento ettari che raccontano le millenarie vicende di un’uva capace di superare indenne più di dieci secoli, tramandata dalla storia, quasi persa nei racconti della cultura popolare e infine ritrovata, tornando agli antichi fasti, quando era nettare di riconciliazioni tra papi e imperatori. Quando si parla di antichi vitigni autoctoni, è d’obbligo analizzare con uno spirito il più oggettivo possibile documenti storici e riferimenti delle varie epoche che, insieme alle mille sfumature popolari tramandate verbalmente per generazioni, compongono l’intricato e affascinante mosaico in grado ancora di incantare e coinvolgere. Immaginare che quel vino bianco offerto da Matilde di Canossa all’imperatore Enrico IV e a papa Gregorio VII possa essere proprio Spergola ci emoziona e ci fa sognare, pensando che trasmetta le medesime sensazioni a mille anni di distanza. Procediamo per gradi. Sul finire dell’alto Medioevo, nell’inverno del 1077, a Canossa si consuma l’avvenimento che vede sedata la ribellione per le investiture. La leggenda narra che l’imperatore Enrico IV restò per tre giorni e tre notti, scalzo e vestito solo di un saio, ai piedi della rocca di Canossa prima di essere accolto e ricevere il perdono da papa Gregorio VII con l’intercessione di Matilde. Il riavvicinamento fu suggellato con un calice di vino bianco offerto dalla stessa Matilde. Da qui l’origine del modo di dire “andare a Canossa” come gesto di pentimento e ammissione di colpa. Le colline di Canossa sembra fossero coltivate con ulivi e viti a bacca bianca; si produceva un vino bianco con il quale la “magna comitissa” di Canossa intratteneva e omaggiava gli illustri ospiti. Il primo riferimento legato a un documento storico si data al 1580. Bianca Capello, granduchessa di Toscana e moglie di Francesco I de’ Medici, nelle sue memorie di viaggio annota con dovizia di particolari una sosta presso l’eremo di San Pellegrino d’Alpe: “Mentre mi ristorava al fuoco dal sofferto freddo, uno de’ giovinetti e la fanciulla si presentarono con buon garbo, recando un orciuolo di vin bianco, un piccolo pane e tre bicchieri. Bevete, madonna, di questo buon vino di Scandiano, disse l’ospite, che vi gioverà”. È il primo riferimento preciso alla zona, Scandiano, e a una tipologia di vino. Nel 1597 Andrea Bacci, medico e scienziato, nel descrive i vini bianchi della zona, frizzanti e profumati. Il marchese Vincenzo Tanara, agronomo bolognese, in parla di un’uva “Pomoria ouer Peregrina” che “fa vino brusco, picciolo, e dura assai”: siamo nel 1644. De naturali vinorum historia L’economia del cittadino in villa Oltre un secolo e mezzo dopo, nel 1805, Filippo Re, botanico e agronomo reggiano, illustrando le colline scandianesi parla di “un’uva stupenda, ma che ha moltissimi nomi”. La più significativa segnalazione è da attribuire al successore di Filippo Re, sempre reggiano, il botanico Claudio della Fossa; nel suo del 1811 “l’uva spergolina” è elencata come varietà da preferire sulle colline reggiane. Proprio da questo primo riferimento al nome si riparte pazientemente per collegare tutto. Giovanni Battista Venturi annota in (1822) le tecniche di vinificazione usate nella zona, che davano un vino rinomato. Catalogus plantarum horti botanici regiensis Storia di Scandiano Un altro tassello si colloca nel 1839, quando il conte Giorgio Gallesio, autore di una monumentale opera tassonomica sui frutti coltivati in Italia, in una memoria di viaggio sulle colline scandianesi annota due tipologie di uva a bacca bianca di spergola,“una Spargolina molle, a grappoli piccolissimi, acini tondi bianchi e trasparenti”, l’altra invece “una Spargolina comune a grappolo e acini più grandi dell’altra”. Della zona dice: “Lo scandianese, però, è più celebre per le uve bianche e vi si fanno di fatto dei vini bianchi squisiti”. Gli ultimi cenni storici ottocenteschi sono di Antoine Claude Pasquin, meglio noto come Valéry, bibliotecario della corona di Francia, che elaborò note di viaggio molto conosciute e di grande successo, antesignane delle attuali guide. In una di queste, datata al 1842, menziona il “vin blanc sucré de Scandiano”. Nel 1873 fu fondata la Società Enologica Scandianese, con sede all’interno della Rocca dei Boiardo di Scandiano; essa riuniva i proprietari terrieri della zona ed era attiva nella promozione dei loro vini, ad esempio durante le esposizioni di Philadelphia del 1876 e di Parigi del 1878. Alfredo Bertolani, che intratteneva relazioni commerciali con la Società Enologica agli inizi dell’Ottocento, e in seguito la sua famiglia preservarono la memoria di quel tempo attraverso l’acquisizione di attrezzature appartenute alla società, ancora oggi custodite come reperti storici in azienda. Con le due guerre mondiali si creò una sorta di black-out capace di azzerare tradizioni e storie, e quello che non doveva essere dimenticato e perso purtroppo si dimenticò. Gli anni Cinquanta e Sessanta rappresentano un punto di ripartenza per tutta la viticoltura reggiana, e pure per la zona dei colli tra Scandiano e Canossa tanto cari alla spergola, presente nei vigneti senza essere identificata e perciò vinificata insieme alle altre tipologie a bacca bianca. La spergola aveva bisogno di scrivere un nuovo capitolo, e questo avvenne attraverso un’altra famiglia di Scandiano da sempre impegnata in agricoltura, la famiglia Casali, che sul finire degli anni Settanta acquistò un podere dalla curia di Reggio Emilia in località Pratissolo, alle porte di Scandiano, e vi si trasferì; da lì a poco nacque la Casali Viticoltori. In quel podere attraverso Massimo Casali, uomo di vigna appassionato e figura emblematica dell’intera viticoltura reggiana, tutto trovò un nuovo inizio. Massimo riscoprì il vitigno, le sue peculiarità e potenzialità. Con un attento lavoro di selezione in vigna arriva a elaborare i primi vini da spergola in purezza, per lo più frizzanti e di struttura, ma estremamente acidi. Agli inizi degli anni Ottanta, dopo diversi viaggi in Champagne, Massimo crea la prima bottiglia elaborata con Metodo Classico. È il 1984. Le tremila bottiglie di spumante sono chiamate con l’antico nome del podere in cui sorge la cantina,“Cà Bezina”, poi trasformato in “Cà Besina”. Inizia un nuovo modo di interpretare la spergola. Senza dubbio questo è il passaggio che ci ha restituito il vitigno. Non bisogna dimenticare che, un po’ per il fascino esercitato dai vitigni internazionali, un po’ per la pigrizia e l’inerzia di molti viticoltori ed esperti, si credeva che la spergola fosse una sottovarietà del sauvignon blanc, nonostante del sauvignon blanc avesse poco o niente. Questo accadeva fino al 1992, anno in cui, grazie ad alcune cantine, tra cui la Casali Viticoltori, si arriva a isolarne gli aspetti ampelografici per opera della professoressa Fontana dell’Università di Bologna. Nello stesso anno a Tebano di Faenza viene piantato un campo di confronto clonale con cinque presunti cloni di spergola; il più sano dal punto di vista virologico è stato ufficialmente iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite nel 2002. Oggi i terroir della spergola sono legati in parte alla zona più classica, quella riconducibile al bianco di Scandiano, ma oltre al comune di Scandiano ricordiamo le zone di Castellarano, Casalgrande,Viano, Albinea, Quattro Castella e Bibbiano. Nella prima decade di vita della pianta il grappolo solitamente si presenta piuttosto compatto, cilindrico, a volte alato singolarmente. Dopo i primi dieci anni il grappolo tende ad assumere l’aspetto più tipico, quello diradato e spargolo: da qui l’origine del nome giunto ai giorni nostri, spergola. Gli acini sono piccoli, di colore verde brillante e pruinosi, e al sole tendono ad acquisire toni giallo-oro. Trova nella prima collina fra i 100 e i 300 metri di altitudine le condizioni ottimali; terreni asciutti e drenati contribuiscono a far esprimere alla varietà i suoi caratteri gusto-olfattivi originali. I vigneti sono impiantati prevalentemente su terreni post alluvionali composti da argille bianche e ghiaia; altri si trovano in prossimità delle conformazioni calanchiche tipiche, composte da argille azzurre. Inoltre, in alcune zone particolarmente vocate è possibile trovare gessi messiniani in grado di arricchire le strutture, inasprendo le condizioni vegetative ed elevando gli aspetti qualitativi delle uve. La spergola è un vitigno poliedrico, vinificato in diversi modi: troviamo versioni frizzanti e Metodo Charmat breve o di media permanenza in autoclave, semplici ma mai banali, molto freschi, quasi croccanti, con profilo olfattivo caratterizzato da frutta a polpa bianca, come pesca tabacchiera, mela campanina e pera decana, e piccoli fiori bianchi tra cui il gelsomino; molto tipiche e ricorrenti le note di erbe aromatiche di timo limone, lemongrass e mentuccia. Le sensazioni gustative si sviluppano sulle durezze, con acidità che continua a stimolare il palato. Esistono anche le versioni secca ferma e dolce frizzante, ma senza ombra di dubbio esprime la massima potenzialità con lo Charmat lungo e, quando i millesimi lo permettono, nel Metodo Classico: in questo caso non teme il tempo e il lungo affinamento in bottiglia, diventando uno spumante eccellente ed elegantissimo, da cui si dipanano sentori evoluti, ma ancora carichi del loro bagaglio originale. Il bouquet ricorda la mela golden, il mango e la papaia, la rosa gialla essiccata, erbe aromatiche disidratate e officinali, maggiorana e melissa. Di grande interesse la scia minerale di iodio e gesso bagnato che si intensifica con l’affinamento. Al palato si esprime con sensazioni coese ma stratificate al tempo stesso, in cui emerge la freschezza supportata dalla mineralità quasi salina nelle permanenze che superano i sessanta mesi sui lieviti. Oggi una decina di aziende continua caparbiamente a perpetrare questa tradizione legata al vitigno. Sono riunite nella “Compagnia della Spergola”, con l’intento di valorizzare il vitigno e il territorio, creando le basi per una crescita qualitativa legata anche a un futuro passaggio alla denominazione più importante. Un vitigno antico legato a un territorio unico, che molto probabilmente esprime la sua vera anima solo quando è affidato alle mani dei viticoltori, ai silenzi delle nebbie e delle cantine, al tempo che continua a sfidare imperterrito.