nous regardons le menu Alessia Cipolla Fruscio di sete, gioielli, dalle eleganti acconciature, impettiti, lumi di maestosi candelabri, broccati e tavole finemente imbandite: ammirare i menu del passato fa volare l’immaginazione verso mondi d’antan, preziosi e raffinati. Con una certa nostalgia per scenari ormai definitivamente scomparsi. mesdames messieurs Leggerli ad alta voce è musica: , , , , , , , , : , , , Consommé à la Sevigné Petites timbales à la Royale et friandises Loup de mer garni sauce Waterfish Filet de boeuf à la Vernon sauce financière Cailles truffés à la Lucullus Chaud-froid de faisan à la Parisienne Punch à la Romaine Asperges en branches Rôti Chapons Salade Vénitienne Ruche d’abeilles à la Chantilly Pêche à la Savoyarde... I menu raccontano molto. Sono una fonte utile in numerosi campi di ricerca, dalla storia della cucina e della gastronomia alla sociologia, passando per quelle dell’illustrazione, dell’immagine, delle mode e dei costumi. Intesi sia come elementi cartacei sia come sequenza di portate, sono contenuto e contenitore, legati indissolubilmente l’uno all’altro. Redatti a forma di libretto o composti da un foglio ripiegato su un elegante nastro in seta, testimoniano avvenimenti da ricordare, pubblici e privati, preziosi che rivelano piccole e grandi storie; d’altronde, molte guerre sono iniziate e finite a tavola, e pure matrimoni, famiglie, fortune e mode. Grazie alle attente ricerche di collezionisti di menu, come Adriano e Rosalba Benzi di Acqui Terme, è possibile ricostruire la grammatica del gusto, le abitudini e le tendenze di periodi e personaggi storici, di casati nobiliari e di gente semplice, lontana dai fasti della storia. Sono opere d’arte rare, perché a tiratura limitata ai soli partecipanti. souvenirs Le origini Il menu (dal latino , piccolo) era presente fin dal Medio Evo ad uso esclusivo delle cucine. Era una “minuta”, ossia l’appunto con i piatti del giorno che il capo cuoco stilava in base alla disponibilità della dispensa. minutus Divenne poi una lista scritta a mano dalla padrona di casa o dall’anfitrione, indicante la successione delle portate da offrire agli ospiti. Dal XVI secolo era la traccia sulla quale ideare pasti e banchetti memorabili, che vedevano all’opera cuochi e scalchi, trincianti, credenzieri e coppieri rinascimentali, maestri di casa o e i cosiddetti settecenteschi, comparabili agli odierni organizzatori di eventi. La preparazione era minuziosa e professionale: la buona riuscita del banchetto, oltre alla struttura delle portate e al rigoroso servizio a tavola, necessitava dei , riproduzioni grafiche della e della posizione dei commensali. Queste ricche planimetrie, insieme a raccolte di ricette e a menu adatti a varie circostanze, arricchirono i testi di cucina fino alla fine del Settecento, formando generazioni di cuochi e codificando, di fatto, la gastronomia francese. maître officiers de bouche plan de table mise en place Sull’onda della Rivoluzione francese e della successiva Restaurazione, la Francia rivestì un ruolo di primo piano sulla scena gastronomica europea e internazionale, diffondendo la propria lingua in cucina, lo schema della successione delle vivande - rimasto inalterato fino all’inizio del secolo scorso - e il “servizio alla francese”. Il menu come sequenza di portate Nel “servizio alla francese” il pranzo era suddiviso in tre o più (o sequenze), ossia in gruppi di preparazioni. Del primo facevano parte gli (piccoli antipasti), i (zuppe) e le ricette a base di uova; vi erano poi i , ossia le paste e le preparazioni a base di riso. Il secondo servizio, il più importante, iniziava con le (piccole pietanze a base di carne) e proseguiva con piatti di pesce, carne (principalmente selvaggina), come i (preparazioni sontuose, spesso con l’animale presentato intero), i (arrosti) e, per finire, legumi. Le insalate non erano di contorno, ma ingrediente di vere e proprie ricette. A seguire poteva essere offerto un buffet freddo, per poi concludere con (intermezzi dolci) o (“saporiti”), i formaggi e i . Per ciascuna delle tre serie, intervallate da alcuni intermezzi, erano previste numerose portate. services hors-d’oeuvre potages farineaux entrées relevés rôti entremets savoureux dessert I vassoi dai quali i convitati si servivano in piena libertà, secondo i propri gusti e in base al proprio appetito, erano poggiati contemporaneamente sulla tavola. I dubbi riguardo le preparazioni erano risolti grazie a cartellini collocati accanto ai vassoi con l’indicazione del contenuto. Finito ogni servizio, si sbarazzava e si disponevano a tavola le pietanze del successivo, sempre tutte insieme. Le portate erano costruite scenograficamente, curando le forme, i colori e le composizioni. Si utilizzavano vassoi di varie dimensioni e altezze, sempre riccamente lavorati, mentre al centro della tavola troneggiava un (elemento decorativo più alto) o un trionfo, una scultura decorativa talvolta in zucchero, con vasi di fiori ai lati. Gli scaldavivande ( ) permettevano di mantenere in temperatura i piatti. surtout réchaud Essendo tutto il cibo ben visibile, i menu a tavola non erano necessari, e servivano dunque solo da promemoria per i cuochi e i maestri di casa. La svolta si ebbe agli inizi dell’Ottocento, quando il menu uscì ufficialmente dalle cucine per approdare sulla tavola imbandita. L’uso del menu a tavola 1810: questa data suggella il passaggio dal “servizio alla francese” a quello “alla russa”. Fu, infatti, il principe russo Alexander Boris Kurakin (1752-1818), ambasciatore dello zar e gourmet, che nella sua residenza di Clichy, alle porte di Parigi, offrì ai propri invitati cene con un nuovo tipo di servizio. La successione delle portate era quella del servizio alla francese, ma con una novità sostanziale: i piatti non arrivavano sulla tavola contemporaneamente, bensì erano porzionati in cucina, ricomposti sui vassoi e poi serviti con una successione prestabilita. Certamente meno scenografico di quello francese, il nuovo modo di servire risultò più funzionale, perché i piatti caldi e le salse potevano essere presentati con temperature e consistenze corrette, cosa prima impossibile, in quanto le pietanze restavano per lungo tempo sulla tavola a disposizione degli ospiti. Inoltre, il numero delle portate si ridusse notevolmente, dando maggiore importanza al ritmo e alla qualità della composizione del menu rispetto alla sua grandezza. Nacque pertanto l’esigenza del menu scritto per gli ospiti, come spiegò efficacemente lo chef Urbain Dubois nel 1864 in : i commensali dovevano essere informati sulla composizione del pranzo “affinché potessero fissare la loro scelta e regolare il loro appetito”. In carta di vario spessore o in seta, dai bordi dentellati o lisci, piccolo o grande, rettangolare, Cuisine classique quadrato o circolare, il menu cartaceo entra a far parte della scenografia della tavola come un elemento caratteristico e distintivo per ogni invito ben riuscito. Secondo Urbain Dubois doveva essere elegante, serio e semplice, senza esagerazioni, con caratteri scritti correttamente e leggibili. All’interno, oltre alle portate, erano presenti i vini in abbinamento, la data e la ricorrenza; nei menu più corposi erano segnati anche i nomi dei partecipanti, talvolta le musiche che allietavano la serata o il carnet dei balli per le dame. Fino a metà dell’Ottocento il menu era impostato su due colonne, con il primo servizio a sinistra, il secondo a destra e sotto l’indicazione dei dolci e delle bevande. Nella seconda metà del secolo, diminuito il numero delle portate, fu possibile organizzarlo in una lista unica. e cromolitografia, a colori, divenne più semplice ed economico accrescere gli effetti grafici: si riproducevano immagini e opere d’arte, utilizzando anche materiali preziosi come l’oro e l’argento o eleganti stampe a rilievo. Grazie alla stampa litografica alla Nei menu solenni delle case reali apparivano sul frontespizio stemmi nobiliari, corone e monogrammi, mentre all’interno vi era una semplice ed elegante lista delle portate con o senza bordature. Per eventi più personali si rappresentavano ritratti e paesaggi con ville e castelli. Se prima del 1870 i menu erano solo appannaggio dell’aristocrazia e dell’alta borghesia europee, in seguito vennero utilizzati dalla piccola borghesia e da associazioni di artisti e lavoratori, che crearono progetti grafici dedicati a particolari momenti di convivialità. Con la Belle Époque e l’Art Nouveau i menu suggerivano situazioni di piacere, divertimento e svago della società: più creativi e liberi dal punto di vista decorativo, mostravano splendidi disegni policromi, allegorie storiche o mitologiche, incantevoli personaggi femminili, fiori, rampicanti, tendaggi, scene maliziose e galanti, ma anche divertenti vignette disegnate a mano, a inchiostro o acquarello. Per matrimoni o fidanzamenti si riproduceva la coppia incorniciata da elementi floreali o con le iniziali intrecciate, con putti offerenti doni e fiori o intenti a suonare strumenti, spesso insieme alle colombe. Tra le due guerre mondiali l’influenza della grafica futurista impresse un’interessante semplificazione e geometrizzazione delle forme. Abbinamento cibo-vino Solo dagli anni Settanta del secolo scorso si inizia a parlare di analisi organolettica del cibo e del vino e di scienza dell’abbinamento così come li conosciamo ora. Leggendo i menu ottocenteschi balzano agli occhi alcune differenze: i vini presenti nei menu italiani (ed europei) erano principalmente francesi, o comunque stranieri, con poche e rare eccezioni, scelti principalmente per rinomanza e rispettabilità, non certo per gusto o abbinamento, o meglio, secondo il gusto dell’epoca. Si indicava il nome, ad esempio Château Lafite, ma non l’annata. Impensabile al giorno d’oggi. I vini locali italiani erano per il volgo, attento più alla quantità che alla qualità. Inoltre, come spiega Giovanni Rebora ne (1998), fino alla metà dell’Ottocento il vino apprezzato dalle classi più agiate, rosso o bianco, era tendenzialmente dolce, da “bocca”, da cui il termine abboccato; per le mense più povere il vino era invece “brusco”, ossia secco, soprattutto il bianco, che nel giugno successivo alla vendemmia era già imbevibile. Ne è evidenza il successo internazionale all’epoca del vino dolce:Tokaj, Sauternes, Auslese tedeschi, Porto e Madeira, i vini andalusi e il Marsala, commercializzato dagli inglesi in tutta Europa. Anche in Italia il vino maggiormente prodotto era tendenzialmente dolce, come il Greco in Campania, il Moscato in Piemonte e numerosi passiti. La civiltà della forchetta In Francia, però, già nella prima metà dell’Ottocento iniziarono a diffondersi ottimi vini bianchi e rossi “bruschi” provenienti dalle zone di Bordeaux e della Borgogna, più stabili e duraturi, dall’eleganza universalmente apprezzata e dalla corposità perfettamente abbinabile agli arrosti di selvaggina. Il fatto di restare unici sul mercato per circa un secolo ne decretò il successo immediato e internazionale. In seguito, grazie al lavoro di alcuni enologi francesi, anche in Italia iniziò una produzione di vini “bruschi” che solo molto più tardi poté essere equiparata alla fama dei vini francesi: antesignani furono gli Antinori in Toscana, la marchesa Falletti di Barolo, il conte Camillo Benso di Cavour in Piemonte. Nei menu ufficiali dei Savoia figuravano molti vini francesi, ma dopo il 1861 comparvero anche Barolo e vini corposi italiani meglio abbinabili ai secondi piatti. Contrariamente ai vini francesi, quelli italiani erano indicati solo con la tipologia, ad esempio, Barolo, senza il nome del produttore e tantomeno l’annata. Per dare importanza ai cru bisognerà attendere ancora molto. Lo champagne, da sempre il vino principe della cultura enogastronomica francese, perfetto per ogni festeggiamento e ricorrenza, ebbe risonanza internazionale soprattutto dalla Parigi della Belle Époque. Lo champagne di allora, più dolce rispetto ai brut odierni, era stappato, con un fragoroso rumore beneaugurante soprattutto al momento del brindisi, e abbinato agli , solo a fine del pasto. Era uso berlo , ossia a temperature bassissime, e solo a cena, mai a pranzo. Solo col tempo si iniziò ad abbinare champagne più secchi agli arrosti, i piatti centrali del menu francese; fu così che i grandi millesimati vennero abbinati al dolce, mentre i non millesimati al resto della cena. entremets frappé La lista delle vivande in Italia La cucina francese ottocentesca influenzò tutte le case regnanti d’Europa, compresi i Savoia, grazie a due cuochi di formazione francese a servizio del casato: il capo-cuoco e pasticciere Giovanni Vialardi (1804-1872) e lo chef Edouard Hélouis, a servizio dal 1848 al 1875. Lo stile, la cucina e la lingua francese usati a tavola dai Savoia e dal regno borbonico penetrarono in tutta la penisola. Solo nel 1908 Vittorio Emanuele decretò l’uso della lingua italiana nella compilazione dei menu e in cucina, dando inizio alla traduzione del termine menu in Minuta, Lista, Lista delle Vivande, Distinta di pranzo, o anche in Gastrovivanda, Gastronota e Godenda. Come da usanza d’Oltralpe, testimoniata nei testi culinari dell’epoca, al primo posto si servivano (zuppe) o , tradizione rimasta invariata fino alla Seconda guerra mondiale. La “pastasciutta” era infatti bandita dalle cene ufficiali e raffinate, mentre era diffusa nella cucina borghese e popolare e presente già in alcuni menu di fine secolo. Fu Pellegrino Artusi, con la pubblicazione nel 1891 de , a raccogliere le diverse cucine regionali durante il costituirsi dell’unità del Paese, inserendo nelle “note di pranzi” o menu, al primo posto, le “minestre in brodo”, termine da lui utilizzato sia per le minestre asciutte sia per quelle in brodo. Nonostante le invettive dei Futuristi, la pastasciutta divenne sempre più ufficialmente la regina dei pranzi e delle cene italiane, assumendo il ruolo di primo piatto anche nei menu ufficiali a partire dal secondo Dopoguerra. potages consommés La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene Nacque così la composizione del classico menu all’italiana a cinque portate, formato da antipasti, primi, secondi, contorni, dolci e frutta; con il concetto del crescendo gustativo, in maniera coerente e consequenziale si passa dai cibi delicati, profumati, magri, di semplice struttura e leggeri a quelli aromatici e speziati, di medio grasso, con media o ricca struttura, per finire con cibi speziati e più grassi o molto strutturati; in ultimo si termina con i dolci, dal più semplice di struttura al più complesso. L’uso del menu al ristorante Dopo la Rivoluzione francese molti cuochi in servizio presso i nobili francesi, rimasti senza lavoro, aprirono locali di qualità a Parigi, fatto nuovo, dato che fino ad allora in città si incontravano per lo più trattorie o stazioni di posta, adatte ai viandanti o ai senza fissa dimora. Le classi abbienti ricevevano in casa e non uscivano a cena, cosa considerata di basso livello. Nel panorama di inizio Ottocento, i nuovi locali offrivano un servizio a tutte le ore e , ossia i menu erano appesi all’esterno del locale con i prezzi di ogni portata e classificati per ogni categoria. Si usava scrivere la lista dei (brodi), tra i quali c’era il (ristoratore), ossia un (brodo per la salute), da cui deriva il nome “ristorante”. à la carte bouillon restaurant bouillon de santé Apparvero anche i primi menu moderni all’interno dei ristoranti, che riproducevano per i clienti, in piccolo, la “carta” affissa all’esterno. Agli uomini erano serviti quelli con l’indicazione dei prezzi, alle dame questo dato non veniva palesato. Nacquero anche le prime carte de jour, ossia il menu a prezzo fisso, dedicato a chi poteva spendere poco. Attorno al 1880 comparve il menu pubblicitario, che perdurò fino alla Seconda guerra mondiale: era un foglio bianco prestampato con il logo delle aziende più importanti del momento, che i ristoratori potevano riempire a macchina o a mano inserendo la propria proposta di piatti. Dagli anni Cinquanta del secolo scorso si iniziò a offrire ai clienti anche la carta dei vini. Ma questa è un’altra storia. p. 79 Menu Reale Casa Savoia Umberto I: litografia policroma e oro, Roma 1897; Menu Circolo Italiano Rosario a Umberto di Savoia: copertina con medaglione in argento applicato, interno in seta, Rosario 1924; p. 80 Menu di nozze, Restaurant Sorrett: libretto stampato in oro e blu, seta purissima con bordo cucito, frange e fiocchetto, Lyon 1923; pp. 80-1 Menu per l’inaugurazione del Tunnel del Sempione, Hôtel National Genève: litografia, Genève 1906; p. 81 Menu Reale Umberto I, cena in onore dello zar Alessandro III: litografia policroma e oro, Roma 1893; Menu Martini & Rossi: litografia policroma e oro, Pessione 1881; p. 82 Menu riunione conviviale: litografia policroma e oro, Moretta 1886; Menu in onore del comm. Ambrogio Carabelli e del cav. Giuseppe Macchi, Ristorante Savini: libretto, cliché, nastro in stoffa, Milano 1924; p. 85 in senso orario, Menu Convito amichevole fra allievi del Collegio Militare d’Asti: litografia da disegno di Vittorio Scati, Melazzo 1894; Menu acquerello originale di L.K. Derryx: serie di acquerelli con lista scritta a inchiostro, Le Guildo (Côtes-du-Nord) 1939; Menu della Regia Nave Andrea Doria per il gemellaggio con una nave giapponese: mezza pergamena, oro e rilievo, nastro in stoffa, 1920; Menu goliardico: pastello e acquerello, Pisa 1900. Dalla collezione Vecchiantico di Adriano e Rosalba Benzi, Acqui Terme