terra da bere
Francesca Zaccarelli

Parte integrante del concetto di terroir, il suolo e la sua articolata declinazione di matrici sono determinanti per ottenere vini dotati di elevati standard qualitativi.

Negli ultimi vent’anni, gli studi sulla vocazione territoriale alla viticoltura si sono affidati sempre più alla pratica della zonazione scientifica: questa è la complessa categorizzazione di un territorio in base alle caratteristiche eco-pedologiche e geografiche che meglio incontrano i bisogni delle cultivar e che, di conseguenza, portano a espressioni produttive e qualitative migliori.

Quando la tecnica è applicata per identificare la potenzialità viticola di grandi spazi e regioni, si parla di macrozonazione. Molto più frequente e utile è la microzonazione, utilizzata per delimitare le varie appellazioni, ma anche per isolare all’interno di una stessa vigna gli appezzamenti migliori, i cosiddetti cru. In entrambi i casi, la zonazione è uno strumento indispensabile per spiegare parte dei costituenti del terroir, ossia quel legame unico fra territorio, clima, suolo, fattore antropico e vigneto, la cui interazione porta all’espressione della tipicità del vino.


Fondamentale ai fini della zonazione è lo studio pedologico, che rileva la predisposizione del suolo alla vitivinicoltura in base alla sua struttura e alla sua composizione. La parte ipogea della vite è importante tanto quanto quella che emerge dalla terra (epigea): le radici infatti permettono l’ancoraggio, l’apporto idrico, la nutrizione minerale e organica (indispensabile nei primi anni di vita, dato che il processo fotosintetico è ancora debole). Il substrato in cui affonda l’apparato radicale è dunque determinante per la sopravvivenza della pianta, per il suo sviluppo negli anni, per le caratteristiche positive dei suoi frutti. Età e natura litologica della roccia madre, componenti minerali micro e macro, sostanze organiche, pH e presenza di calcare attivo, tessitura, pietrosità, colore e capacità calorifica e di scambio degli elementi concorrono in modo significativo alla qualità e all’aromaticità dell’uva.


È necessario chiarire che il suolo non cede aromi. I sentori terrosi di tartufo e humus e la tanto apprezzata mineralità con cui si identificano le note salmastre, di gesso, arenaria, scisto e pietra focaia non hanno nulla a che fare con la trasmissione diretta di caratteri organolettici da parte di sostanze presenti nella terra. Questi aromi deriverebbero da composti solforati, in molti casi sotto forma di precursori legati alla cisteina, che si sviluppano nella buccia di alcune varietà o in base a determinati terroir. Durante la fermentazione, la maturazione e l’affinamento, i processi microbiologici, chimici e fisici attivano queste molecole, capaci di arricchire il vino con sentori distintivi. 


Ciò detto, la composizione del terreno e del sottosuolo influisce direttamente sul ciclo biologico e fenologico della pianta, sull’espressione delle caratteristiche genetiche della cultivar e di conseguenza sugli aspetti sensoriali del vino: struttura, aromi varietali e precursori, acidità, qualità tattili e gustative. Empiricamente è dimostrato che la vite il meglio di in terreni poveri, difficili, ciottolosi e drenanti, diversamente da molte altre colture che richiedono suoli fertili, umidi e pianeggianti. La pianta produrrà meno, ma ogni acino sarà il frutto perfetto di uno sforzo intenso e costante, atto a sopperire allo stress causato dalle limitazioni pedologiche. Questo perché le radici devono svilupparsi in profondità fino alle falde freatiche per raggiungere l’acqua, garantendosi così un rifornimento idrico continuo e le migliori sostanze umiche e minerali. L’affaticamento dell’apparato radicale e la penuria di sostanze nutritive e di acqua, inoltre, fanno in modo che gli apici vegetativi non si sviluppino eccessivamente, contribuendo a smorzare la competizione tra rigoglio e maturazione dei frutti, e favorendo così la concentrazione di zuccheri nelle bacche soprattutto nel periodo estivo. Al contrario, in terreni freschi, fecondi e senza fattori limitanti, le radici resterebbero in superficie e si otterrebbero piante con una fase erbacea lunga e apici fogliari forti, in continuo accrescimento, anche durante la maturazione dell’uva. A causa di un’invaiatura tardiva si verificherebbe una dispersione di glucidi e la non formazione negli acini di composti utili per il profilo aromatico, oltre a un grado zuccherino basso e quindi a una futura mancanza di alcol e struttura. La cuticola si presenterebbe più sottile e meno colorata anche per via dello scarso irraggiamento, con la conseguenza di un rischio fitosanitario più alto.