assemblage Champenoise
Roberto Bellini

“Il vino di Aÿ perde il suo gusto di pesca di vigna, quello di Avenay il sapore della fragola di bosco e quello di Pierry l’effetto odoroso di pietra focaia, invece il vino di Hautvillers lascia per strada il suo straordinario gusto di nocciolina”: raccontata in questo modo, sembra che la miscela di questi vini sia destinata a produrre un effetto catastrofico. Ognuno infatti perde qualcosa e non c’è garanzia che, nel riunirsi, la somma sia migliore di quello a cui hanno rinunciato.

L’assemblage champenoise come lo conosciamo oggi non nacque ai primi tentativi di fare vino con la mousse. Fu Dom Pérignon a gettare le basi di un ragionamento complesso, avendo intuito, da buon botanico, che mescolare con giudizio i diversi gradi di maturità degli acini avrebbe contribuito a creare un vino molto più gradevole di quella miscellanea “verdeggiante e acidula, con un’energia in asprezza che scodinzola nel palato come la coda di un cane”.


Il monaco, divenuto suo malgrado un enologo ante litteram, selezionava i grappoli in funzione del loro indice di maturazione, assaggiava gli acini e ne controllava l’elasticità, lasciando poi riposare i frutti per una notte intera all’aperto, per riassaggiarli all’alba.

A detta di tutti, l’assemblage è l’essenza dell’umano savoir-faire del produttore: genialità e ragione fluttuano sulle onde della memoria degustativa per intuire, nella composizione, come dovrà essere il vino dopo la presa di spuma e la maturazione organolettica (autolisi). Se guardiamo al passato, quella certezza che caratterizza oggi il concetto aveva molti tratti interrotti e incerti nella definizione.


Innanzitutto, Dom Pérignon potrebbe non essere il precursore dell’assemblage perché non ha lasciato tracce scritte del suo operato, e questo ha generato nel tempo anche bizzarre teorie, come quella echeggiante dalla penisola scandinava che lascia trapelare un Dom Pérignon creato ad arte, ad uso e consumo di un marketing commerciale, mirato a espandere le vendite. L’epoca “Pérignonana”, in cui si creano i meccanismi della miscela dei vini, è databile al tardo XVII secolo, ma non è certo che la presenza degli attuali vin de réserve fosse essenziale per ottenere il prodotto finale. Infatti, le scarse cronache enologiche del XVIII secolo citano dei mélange di diverse specie di vini (ottenuti da differenti vitigni uniti insieme) la cui composizione finale si chiamava cuvée. Erano vini ottenuti dalla medesima annata ma di differenti cru, che seguivano la logica botanica territoriale studiata dal monaco d’Hautvillers.