sulle note del Danubio
Gherardo Fabretti

Danubio. Un leggero tremolio di violini solletica le orecchie: saloni illuminati e sorrisi beati. Prima di cominciare il ballo, le nobildonne panneggiano le lunghe gonne, gli uomini stuzzicano arditi i baffi. “Valzer” è la prima parola che viene in mente a sentir nominare il secondo fiume più lungo d’Europa; Strauss il primo nome; blu il colore a cui fare riferimento.

Eppure, nel 1866 Johann, autore della musica, Josef Weyl, che ne scrisse il testo, avevano in mente quel corso d’acqua: il titolo fu scelto all’ultimo, preso da una nubilosa poesia di Carl Isidor Beck. Anziché sorrisi e donne rotanti, all’inizio ci furono solo cinque ore opprimenti. Il 15 febbraio dell’anteprima viennese, inchiodati alle sedie del Dianabad, avvolti da un caldo astringente, gli spettatori, oltre al blu del Danubio, di colori ne videro di ogni.


Solo l’anno successivo, nella sede dell’ambasciata austriaca a Parigi, dopo avere conquistato Napoleone III, il Danubio entrò nel cuore di tutti, assieme a quel blu, rimasto anche nella seconda versione del valzer.

Difficile oggi ascoltare quei testi, proposto com’è nella sola versione strumentale di Strauss. Arduo anche trovare del blu in quelle acque; è più facile scovarvi del rosso o del giallo: lungo i suoi quasi tremila chilometri, e le dieci nazioni lambite dalle sue curve, il Danubio alimenta vini e vigneti di grande bellezza.


Ci avevano pensato i Greci a piantare i primi tralci. Avevano messo radici nelle colonie lungo le sponde del mar Nero, dove il Danubio sfocia a 2.860 chilometri di distanza dalla sorgente, nascosta tra le pietre della Foresta Nera, nel Baden-Württemberg. È qui che il selvatico Istro, come lo conoscevano nell’antichità, guerreggia col civile Reno, monumento acqueo alla purezza tedesca, all’unità germanica, in perenne conflitto con il Danubio, simbolo di mescolanza di culture, di koinè plurinazionale. Germania contro Austria, rigore prussiano contro ironia asburgica, Sigfrido contro Attila.