critico gastro(g)nomico Valerio M. Visintin - Buongiorno, signor Visintin. Mi scusi se la disturbo… Capita di frequente che qualche giovane armato di confuse speranze mi contatti, sui social o via email, per chiedermi un consiglio circa le strade che conducono alla mia professione. Sarà che, avendo avuto quindici figliuoli da sfamare e da cullare, sono particolarmente sensibile al tema del disagio giovanile. Sarà che, in fondo, sotto la mia coltre nera, ho un cuore anch’io. Ma non riesco a rispondere con la dovuta spietatezza, indicando il baratro nel quale sta precipitando la critica gastronomica. - Buongiorno, signor Visintin. Mi scusi se la disturbo… Talvolta, prevedendo la domanda, medito di risparmiare a entrambi la pena di una risposta. - No, caro, non la scuso. Sparisca. Ma non metto in pratica i buoni propositi. E, al contrario, tergiverso, sto sul vago. Getto nel mucchio un’ipocrisia di comodo. Oppure, circumnavigo l’argomento indorando la verità. - Si applichi con studio e con puntiglio. Vedrà che il suo impegno sarà premiato. E se, da domani, la piantassi con queste formulette vuote? E se dicessi la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità? Sarebbe cosa buona e giusta. Anche perché, in casi non rari, fin dal primo approccio si evince qualche patologia. Abbiate pazienza. Lasciate che dia libero sfogo alla sincerità almeno sulla carta. - Buongiorno, signor Visintin. Mi scusi se la disturbo. Vorrei fare il suo mestiere. Sono un suo accanito ammiratore. La leggo sempre su “Repubblica”! (Io, però, scrivo per il “Corriere”…) - Venga a trovarmi in redazione a “Repubblica” questo pomeriggio e la assumo sull’istante. La aspetto! - Buongiorno, signor Visintin. Mi scusi se la disturbo. Mi può dire QUAL’È la qualità più importante per diventare critico gastronomico? - Non si affanni. Considerando la maggior parte dei colleghi, direi che lei ne è già provvisto. - Buongiorno, signor Visintin. Mi scusi se la disturbo. Io vorrei fare il critico gastronomico perché amo moltissimo mangiare. - Benone. È un’ottima premessa. Non fa una grinza. Se saprà diventare alcolista, potrà intraprendere anche la carriera del critico enologico. La realtà è che questo lavoro non sta più in piedi da solo. Non ci sono le condizioni economiche e deontologiche per portarlo avanti con onore. E allora? Perché continuare a scrivere? C’è chi scrive di food e chef per il bene Dellacucinaitaliana. Con la D maiuscola! Chi lo fa per fare sistema, per le biodiversità, per il Pil. Chi scrive di food per briffare l’innovazione della cultura dei media nel contesto del discorso food sul piano della cultura... ho già detto cultura? Chi per spiegare al popolo come si riconosce la qualità, quella vera. Capisce cosa intendo? No, non credo. Lei con quella faccia non può capire. O perché la vita è dura e bisogna pur nutrirsi. Per fare tanti click. Perché non so far nulla, non so nulla, non mi interessa nulla, non ho mai letto nulla. Quindi, scrivo di food. Ovvio, no? Perché alle elementari mi dicevano sempre che son portata per la scrittura. Perché sin dalle elementari mi hanno sempre detto che son portata per il mangiare. Le merendine, soprattutto. Perché prima mi occupavo di glamour e di burlesque, ma il food è moooolto più top! Perché mi piacciono i ristoranti e gli hotel di lusso, che non potrei permettermi. Perché godo da impazzire a scroccare una cena stellata. Perché faccio buoni affari con gli chef di cui dico meraviglie. Perché il mio capo fa buoni affari con gli chef di cui io dico meraviglie. Perché mi sento parte di una élite, quando comunico che sono amica di Massimo o che ho fatto un selfie con la pentola a pressione di Davide. Perché non mi perdo mai una puntata di MasterChef. Perché non mi hanno preso a MasterChef. Perché lavorare stanca, abboffarsi di cibo al massimo ingrassa. Perché giravo l’Italia come rappresentante di padelle e quindi capirà persino lei che l’alta cucina ce l’ho nel sangue. Perché sono stato a pranzo in 32 stellati, in 15 bistellati, in 18 tristellati e ho messo tutto in conto all’azienda. Perché sono stato a pranzo in 32 stellati, in 15 bistellati, in 18 tristellati e ho messo tutto in conto all’azienda. Ma poi l’azienda ha controllato meglio le note spese... Perché mi piace flirtare con le signorine degli uffici stampa alle inaugurazioni e alle feste di gala. Perché così faccio politica, tengo in pugno uno strumento di potere, creo occasioni di denaro, costruisco una rete di vicendevoli scambi. E, naturalmente, flirto con le signorine degli uffici stampa alle inaugurazioni e alle feste di gala. Scrivo di food e chef. E allora? Perché me lo domandate? C’è qualcosa di male a mangiare gratis e a dire bene degli amici? Al vernissage di un nuovo ristorante milanese, qualche giorno fa, una nota firma della critica gastronomica (taccio il nome per carità cristiana) ha preso il microfono per il consueto fervorino inaugurale. E, a bella posta, ha il suo ruolo di consulente del medesimo ristorante, poiché (cito testualmente): “La figura del critico gastronomico oggi è cambiata. Non si tratta di introdursi in incognito in un ristorante per stroncarlo, ma accompagnare chi decide di investire in una città”. In altre parole, secondo questo spregiudicato teorema, il critico moderno non è tenuto a recensire il ristorante con indipendenza di giudizio, come facevano gli antichi. Ma, piuttosto, deve farsi pagare dal ristoratore per offrirgli qualche consiglio, per parlare bene della sua creatura e per battere quella concorrenza di sprovveduti che non si siano attrezzati a loro volta arruolando altri mercenari del giornalismo di settore. - Buongiorno, signor Visintin. Mi scusi se la disturbo. Il mio sogno è fare il critico gastronomico. Cosa mi consiglia? - Uno psichiatra. Buongiorno, signor Visintin...