naturalmente vino
Francesca Zaccarelli
Non è facile dare una definizione univoca al vino naturale. Si tratta di una categoria che intende presentarsi al consumatore come diversa per molteplici ragioni, difficilmente racchiudibili in una sola espressione. Lo stesso aggettivo “naturale” è stato più volte criticato perché si presta a tante e non sempre condivise declinazioni. La complessità aumenta se si considera che il vino naturale non è ancora regolato da un vero disciplinare specifico, nonostante recentemente sia stata redatta e firmata da quaranta produttori una carta di intenti con un protocollo minimo agronomico, che vorrebbe essere la base per un progetto di legge nazionale e un giorno europeo.
Parliamo di vini biodinamici o come minimo biologici, ottenuti con vitigni tradizionali? Sì. Nati da cantine in cui la chimica enologica è accantonata a favore di fermentazioni più spontanee? Certamente. Vini quasi del tutto esenti da solfiti? Pure. Vini cosiddetti “liberi”, perché spesso regolati da un percorso di autocertificazione e fiducia diretta nel produttore, comunque controllato dall’associazione a cui afferisce? Anche. Eppure, non è tutto. Perché un vino naturale che si rispetti rappresenta la volontà di proporre un nuovo, o meglio antico, modo di pensare al vino e di degustarlo. Ambisce quindi a essere una sorta di manifesto, basato su tre pilastri: quello che possiamo definire culturale, quello ambientale-territoriale e quello etico-alimentare. Da qui si evince la difficoltà nel promuovere e nel riconoscere un autentico vino naturale, in una realtà esente da norme e controlli accurati, e in un marasma di definizioni e interpretazioni che spesso sortiscono confusione e nascono più da un’esigenza di mercato che da una volontà produttiva veramente alternativa e da una ricerca nel consumo consapevole.
La storia dei vini naturali fonda le sue origini oltralpe, in particolare in Francia, e in un passato più lontano di quanto si immagini. Già all’inizio del secolo scorso e per tutto il Novecento circolavano idee a sostegno di un vino il meno possibile alterato da sostanze chimiche. Negli anni Ottanta i primi scandali alimentari e ambientali legati all’industria alimentare scatenarono nei consumatori di tutta l’Europa il desiderio di acquistare prodotti più integri e salubri, alcolici inclusi. Nel decennio successivo la vitivinicoltura francese si mostrò propensa ad abbandonare i metodi di produzione industriale, per recuperare il territorio, le varietà locali e gli aromi primordiali, rifacendosi ai principi dell’agroecologia biodinamica dell’austriaco Rudolf Steiner. Nacque altresì l’esigenza di valorizzare i vini più locali e indipendenti, considerati fino a quel momento una sorta di autoproduzione contadina, di poco valore.