granitiche verità a Cornas
Roberto Bellini

Il syrah ha raggiunto il quinto posto nella classifica mondiale dei vitigni più coltivati: la sua crescita è stata repentina e dalle dimensioni non previste.


Incontrare un vino fatto con uva syrah significa catapultarsi nell’essenza della viticoltura della valle del Rodano. Una storia che non sempre ha arriso al vitigno, a lungo ignorato perché poco produttivo e non resistente ad alcune malattie. Si stima che nel 1958, in Francia, la superficie vitata fosse prossima ai 1600 ettari, nel 1979 sfiorava i 13.000, nel 2001 erano 45.000, oggi sono giunti a oltre 70.000.


Perché piace il Syrah? In primo luogo perché ha interpretato quella voglia, non solo mediatica, che ha aleggiato per oltre vent’anni nell’immaginario di molti degustatori, calamitati da una dimensione enoica in cui terroir e antiterroir cercavano di fondersi e confondersi, in cui le estrazioni fenoliche della nuova enologia abbracciavano un compassato ma dominante savoir-faire franco- europeo. Forse il Syrah si è trovato, suo malgrado, nella traiettoria di quel senso di ribellione che inconsciamente animava i bevitori americani, deliziati da quel nuovo senso del vino apertosi con la vendemmia 1951 del Penfolds Grange Hermitage, in cui al syrah era stato affiancato un piccolo quantitativo di cabernet sauvignon. Fu Penfolds a svegliare il “corsaro del Rodano chiamato syrah”. Se si pensa che all’epoca il numero di ettari dedicati era insignificante, forse il Grange Hermitage può essere considerato il primo trillo di sveglia.