Madeira, vinho da roda
Betty Mezzina

Il temuto atterraggio sull’isola di Madeira, per via dei venti talvolta impetuosi, ma soprattutto per la singolare pista sospesa su piloni, si rivela dolcissimo e l’Atlantico appare calmo. In lontananza le altre isole dell’arcipelago: Porto Santo, Desertas e Selvagens, le ultime due disabitate, estremo lembo d’Europa. Occorre poca fantasia per immaginare lo stupore dei primi navigatori, quando si trovarono di fronte a questo immenso scoglio lavico in pieno oceano, circa seicento chilometri al largo del Marocco, interamente ammantato di foreste, tanto da battezzarlo “madeira” (legno, in portoghese), elemento che dominava incontrastato su tutta l’isola. Ancora oggi, nonostante l’uomo abbia domato in parte la sua natura impervia, rimane un luogo in cui i paesaggi dominano con tutta la loro forza e potenza attraverso colori, piante e fiori di una bellezza incomparabile.


Formatasi durante le eruzioni vulcaniche avvenute nel Miocene, circa venti milioni di anni fa, l’isola ha un suolo ricco di basalto, con struttura argillosa, tendenzialmente acido, con tracce di materia organica, ferro e magnesio. Il tipo di sottosuolo, l’accidentata orografia del terreno e le condizioni climatiche subtropicali temperate dall’oceano costituiscono elementi fondamentali di un terroir di grande personalità che, uniti alla singolarità del processo produttivo e al carattere dei vitigni autoctoni, hanno donato al vino di Madeira quell’unicità inconfondibile che da cinque secoli è riconosciuta in tutto il mondo. Tanto che all’isola è stato dedicato un termine da degustazione: maderizzato.