c'era una volta...
il Novello

AIS Staff Writer

È l’incipit di molte fiabe, il cui racconto si snoda con alterne vicende. Quando tutto sembra precipitare in un dramma irreparabile, ecco che, all’ultimo, il bene trionfa sul male, ogni cosa si aggiusta e vissero tutti felici e contenti.

C’era una volta anche il Vino Novello. E ora dov’è? Lando Fiorini, sublime voce romanesca, lo avrebbe cantato così: “C’era ’na vorta tutto quer che c’era, povero Novello nostro forestiero”.

È proprio vero, povero Vino Novello! Se non nell’odierna qualità, di sicuro nei numeri, ridottisi enormemente rispetto al picco, ufficioso, di quattordici milioni di bottiglie dei primi anni Novanta. Che cosa è accaduto a questo vino? Quando si affacciò sul nostro mercato - era la metà degli anni Settanta - i primi vagiti si manifestarono in aziende prestigiose, due tra tutte: Angelo Gaja con il Vinot, Marchesi Antinori con San Giocondo. Gli Antinori non scelsero un nome a caso: il Santo si celebra il 14 novembre, data pressappoco in cui esce il Beaujolais Nouveau, a cui forse si è ispirato nella filosofia enologica. Quell’uscita consentiva al vino di acquisire una certa stabilizzazione dopo la vinificazione, che all’epoca prevedeva un minimo del 30 per cento di macerazione carbonica (oggi 40). Era un vino gioiosamente fruttato e floreale, con quell’idea di frutti zuccherini da sembrare dolcemente speziato; i toni floreali estivi, quasi di glicine, attenuavano un po’ lo spirito di un inverno incipiente. Anche il gusto era innovativo per quegli anni: molti vini rossi avevano una personalità un po’ stridente, una secchezza pressante, spesso con tannini rusticamente legnosi, se non verdi; la “rivoluzione” in versione supertuscan non era ancora arrivata. Quelle novelle “morbidezze”, aiutate dal residuo zuccherino (10 g/l), il cui sapore si mascherava con la temperatura di servizio di 14 °C, avevano attirato un’attenzione trasversale, dagli scaffali nella grande distribuzione, all’enoteca alla ricerca di chicche, fino al ristorante che si affidava alla classicità.


Come accade talvolta, il successo può diventare troppo interessante per chi bada prima al denaro e mette la qualità in secondo piano. Dopo qualche anno comparvero gli incursori enoici, pattuglie d’imbottigliatori o presunti tali che sull’onda Novello cercarono di anticipare l’uscita del vino nuovo (e di nuovo dentro c’era ben poco) addirittura a metà ottobre. La qualità, già parzialmente messa in discussione da quanti non ritenevano il Novello un vero vino (ma non spiegarono mai cosa fosse il vero vino), ebbe una débâcle progressiva e inarrestabile, con prodotti sempre più scadenti, che creavano mal di testa (troppa solforosa), bruciori di stomaco indigesti, colori poco vivaci e profumi sempre più in cottura controllata.


L’Istituto del Novello, fondato nel 2000 e al quale aderirono molti produttori, fissò dei paletti per porre un freno al declino, mediando anche sulla data di uscita, che fu fissata al 6 novembre (oggi è il 31 ottobre). L’iniziale entusiasmo, favorito da una campagna stampa interessata a determinati vantaggi e non a smascherare i furbetti della carbonica, dalla calamita vicentina del frequentato Salone del Novello e dai primi testimonial sottratti al palcoscenico televisivo, ben presto si risolse in un tentativo svuotato di appeal qualitativo. L’autolesionismo continuava a crescere; pur di arrivare per primi sul mercato, si escogitava di tutto.


Intanto il Vino Novello si intristiva, e gli ante-Novello ammaliavano frotte di bevitori nazional- popolari con coloratissimi packaging, anziché con la sostanza. Il mancato controllo del flusso inflazionistico (troppi prodotti) e lo spostamento dell’attenzione monetaria dall’enoteca/ristorante alla grande distribuzione dimostravano un concetto: con un prezzo basso la vendita era assicurata. Intanto il gusto del vino tra il 1980 e il 2000 conobbe un cambiamento migliorativo, la qualità complessiva dei vini da medio mercato aumentò sull’onda di una generale presa di coscienza qualitativa dell’Italia enologica, includendo non solo la produzione ma anche il fruitore del vino. Si creò prima uno scarto tra Novello e ante (pseudo)-Novello, ma quella giusta sfiducia verso l’antagonista finì per contagiare anche la parte sana.


Le ultime avvisaglie sul Vino Novello dicono che chi lo assaggia si guarda dal dirlo e gli enotecari e i ristoratori lo propongono molto timidamente. Eppure, in base all’indagine svolta, il 2018 sembrerebbe un punto di svolta, una nuova fioca luce si sarebbe accesa. Alcune enoteche hanno tentato la via social per colmare il periodo di pericolosa stanca nei consumi (ma non nei costi fissi) che precede la campagna natalizia, battendo il tasto di caldarroste e Novello, riuscendo nel solo giorno di presentazione a vendere oltre seicento bottiglie; qualcuno ha esaurito l’acquistato in poco meno di cinque giorni, quando nel 2017 ne erano occorsi quasi otto. Non sono numeri significativi, ma il dato è foriero di ottimismo per il futuro. Il mercato odierno del Novello segna la presenza di quelle aziende che hanno sempre lavorato seguendo i criteri enologici e non i finti entusiasmi di una volubile clientela.


Il Novello non può essere un outstanding wine, e non vuole esserlo. La sua fragrante briosità non prende 100/100; può però essere il trailer del film del vino che uscirà dopo un anno o più, e dall’anticipazione si può intuire se il film vinario di quell’anno sarà da Oscar o da Razzie Awards.