gemme dolci d'Italia
Massimo Zanichelli

Sono vini millenari, autoctoni, emozionanti. Eppure, nonostante la storia plurisecolare, lo spirito territoriale, l’espressione elettrizzante, i vini dolci sono relegati in un cono d’ombra: estromessi dal giro che conta, dalla pubblicistica di settore, dalle scelte del consumatore. Spesso per pregiudizio o luogo comune. Si pensa che il vino dolce sia qualcosa di leggero e di facile consumo, dunque poco prestigioso, qualcosa che va bene giusto per le donne, qualcosa di troppo che arriva sempre in fondo al pasto, quando si è già sazi, qualcosa che non si sa mai come abbinare, perché si compie il madornale errore di abbinarlo con i dolci, ma non è un “vino da dessert”.


Tuttavia, non c’è occasione in cui, facendo assaggiare anche ai più scettici un vino dolce di razza, e non la sua caricatura industriale e liquorosa, il loro sguardo non traduca la meraviglia di un’esperienza inaspettata. Sono vini di superiore densità, di carattere, tra i più longevi. Da conversazione e meditazione, da sorseggiare in compagnia o da soli, soprattutto da godere in sé, senza bisogno di un abbinamento a tutti i costi. Il vino dolce, ovvero il vino a residuo zuccherino (definizione tecnica), rappresenta un mondo infinito di territori, vitigni, stili. Ecco un riassunto dei principali, seguendo la suddivisione per colori di un volume che ho appena pubblicato sull’argomento per Giunti Editore, Il grande libro dei vini dolci d'Italia.