Il termine monaco deriva da monos, nel significato di solitario, e designa chi si isola dal mondo per compiere un cammino spirituale. Inizialmente i monaci si ritiravano in luoghi inaccessibili, deserti o alture, praticando la povertà e il digiuno; in seguito prevalsero forme di vita comunitaria basate sull’osservanza di norme comuni a ciascun ordine. Sebbene il monachesimo esistesse già prima di san Benedetto, la sua Regola ne mutò il concetto in Occidente. Egli propose una vita comunitaria basata su tre pilastri, la preghiera comune, la preghiera personale e il lavoro: ora et labora.Tra il VI e l’VIII secolo l’Europa si riempì di grandi e piccole abbazie. Ma la regola col tempo si disgregò: ogni monastero la osservava in maniera talmente autonoma che Carlo Magno, pur non condividendo l’ideale monastico, si fece promotore dell’unificazione del movimento. La riforma fu attuata da Ludovico il Pio, con l’aiuto di Benedetto d’Aniane, e diede inizio a una fase di grande splendore. Tra l’850 e il 950 i monasteri decaddero, sia come modello culturale e di vita, sia come punto di riferimento: i monaci finirono col confondersi con il clero secolare, tanto che nel 910, per combattere il degrado, il duca Guglielmo I d’Aquitania promosse la fondazione dell’abbazia di Cluny, nella quale si ritornò all’antica regola.
Già nel Medioevo i colti monaci di Cluny individuarono nelle loro proprietà i terreni particolarmente vocati a produrre grandi vini, a cominciare dalla Borgogna. A Vosne-Romanée delimitarono le aree che ancora oggi sono grandi Cru: Romanée-Conti, La Tache, Romanée-Saint Vivant. Il patrimonio viticolo cluniacense in Borgogna era disseminato nella mitica Cote d’Or a Vougeot, a Vosne- Romanée, a Gevrey Chambertin, poi ancora a Mersault, Puligny Montrachet, Chambolle Musigny.