cuochi d'artificio
Valerio M. Visintin

È un dolore remoto e sottile, come un antico rimorso. Ne cogli le prime avvisaglie al principio di dicembre. Lo tieni a bada come puoi. Per qualche giorno lo silenzi, lo parcheggi in rimozione forzata. Finché, un mattino, sui social o al caffè, un falso amico ti interroga con fare innocente: “Allora, a Capodanno cosa fate?”


Le ipotesi in campo sono distruttive. A casa dalla suocera con i vicini ottuagenari, o a casa di amici con i bambini ululanti?

Meglio uscire al ristorante! Ecco le ipotesi migliori, suddivise per preventivo di spesa.

La trattoria ruspante

Il veglione nella vecchia stamberga di “Licia la lercia” è l’unico che finisce alle 19.30. Perché Licia non è più una giovincella. E alle otto di sera se ne va a letto.
Il giovane di sala si chiama Igor Mortis. Indossa da sessant’anni il solito gilet di flanella color zerbino, ma per l’occasione si è legato al collo una cravatta rossa, un po’ stinta. Vietato l’ingresso ai cani e ai foresti: avvisa un cartello incollato alla porta. Menu rustico. Si comincia con i famosi antipasti della sciura Licia: due olive e il prelibato rancidume misto di affettati. Poi, basta, perché la Licia ha bruciato il brasato.
Ma si possono ordinare degli involtini primavera nel cinese accanto, con un minimo supplemento di spesa. Siccome, però, è cibo extracomunitario, va ribattezzato: invultìn del Ticinès. Spettacolino dal vivo con la compagnia dei Balabiòtt, che canteranno canzoni in vernacolo milanese, accompagnati dal maestro Brambilùn, virtuoso del pernacchio ascellare.
Prezzo in lire: 11.500.