salviamo il consumo del vino
AIS Staff Writer

I dati sono incontrovertibili: dopo la progressiva ascesa tra 2000 e 2006 e il picco euforico del 2007-2008, il consumo del vino ha registrato un flusso altalenante al ribasso, con una pericolosa débâcle nel 2014 che sembrava annunciare un non ritorno dai contorni drammatici. Così non è stato, e il consumo è via via progredito con un benaugurante nuovo apice nel 2017 e un 2018 ottimistico.


Le cause della discesa sono state individuate nella crisi finanziaria che ha imperversato dal 2009 al 2012. Gli eno-analisti erano certi che la ripartenza dell’economia avrebbe ristabilito i livelli euforici pre-crisi. Così non è stato, anche se l’Italia nel quadriennio 2013-2017 ha segnato un incoraggiante +8%, rispetto al -2,8% della Francia, -1,3% Germania, 0% del Regno Unito, -16,5% della Russia. Per l’Europa occidentale si può pensare al mancato ricambio generazionale nel consumo tra Baby boomer; inoltre, le generazioni Gen X e Millennial, su cui si erano appuntate molte speranze, si sono rivelate una delusione, in parte per le incertezze socio-economiche della crisi, poi per una generale stanchezza verso certe tipologie di vino muscolari, infine per un ritardato approccio al vino, attirati dalla light mixology e dal rinnovato mondo brassicolo. Sorprende che, a dispetto di una stagnazione che ammicca al ribasso, il prezzo della bottiglia non ne abbia risentito: si potrebbe giungere a un recuperato equilibrio tra il margine economico e la discesa di beva.


Il vento però è molto debole per sgombrare il futuro dalle nubi, e soffia invece con forza sul fuoco dei contrasti socio-politici. Per il Regno Unito le incertezze Brexit non sono certo foriere di serenità commerciale. Ancor prima ci sono state anche una politica di tassazione non favorevole e una mascherata spinta antialcol. In Francia le politiche antialcol, oltre ad aver creato malumori nella filiera vitivinicola, hanno determinato un calo dei consumi. In Russia, la crisi ucraina, le tensioni politiche conseguenti e gli accenni di guerra fredda raggelano una parte del mercato del vino. E la Cina? C’è già chi afferma che non sarà l’àncora di salvezza per l’Europa, con solo 1,4 milioni di ettolitri di incremento, in gran parte a favore del Nuovo Mondo; e non è pensabile che il protezionismo di Trump non abbia una ricaduta sull’alleata Europa.


Secondo un’altra analisi, non è vero che la birra, i distillati e i mix-drink siano gli accaniti competitor del vino nella generazione che si sta affacciando al consumo del vino. C’è dell’altro: un disinteresse sociale, una rallentata curiosità e pure una disaffezione al rapporto tra le persone, il tutto sostituito dalla ragnatela video-emotiva del web, che strapazza perfino quell’indole dell’incontrarsi in voga nel modello Milano da bere. Il fatto che l’Italia non sia stata coinvolta nella discesa non ci mette al riparo da un eventuale effetto decrementativo, che da noi arriva dopo, ma potrebbe essere più pesante e di lunga gittata.


Sarebbe interessante analizzare la tenuta dei consumi in un’Italia che non l’immagine di una floridità sociale da celebrare con fiumi di brindisi, e le turbolenze, vere o presunte, tra America e Cina, passando per il Regno Unito, non garantiscono la costanza incrementativa dell’ultimo biennio. L’analisi sul futuro fonde l’incertezza sulla tenuta del marketing del vino con quella di aumento del consumo, che a sua volta si scontra con una complicata realtà socio-economica a ventaglio globale in quella parte del mondo che ha trainato per decenni il mercato del vino (USA prima e Cina poi); forse parte di quel vino non è ancora stato consumato, si pensi agli acquisti dei top fine wine. Sarà l’economia che verrà a generare l’accelerazione o la frenata nel consumo del vino, e le brezze d’imminenti recessioni diventano concreti spauracchi. Da parte nostra non abbiamo la sensazione che questo paventato mini-catastrofismo stia per avverarsi: il nostro ultimo quadriennio di formazione e di educazione al consumo del vino è stato fortemente in ascesa, e questo è un ottimo viatico per evitare la marcia indietro dopo l’eventuale frenata. Il rapporto tra consumo di vino e flussi economici si sta trasformando in un concreto quadro d’analisi, e la fragilità di questo inizio anno vede all’orizzonte i contorni di uno shock economico che potrebbe ingigantirsi con le instabilità politiche e la mina vagante della Brexit.Tutto questo fa bene o male al consumo del vino? È presto per dirlo, ma già nel primo semestre se ne potrebbero vedere delle belle. Noi siamo ottimisti, è nel nostro Dna.


Qualcosa però potrebbe essere fatto da parte di chi produce vino, un nuovo rinnovamento diventa auspicabile, poiché l’ultima scossa, quella “Supertuscan”, si è ormai dissolta e l’incursione dello stile Nuovo Mondo ha esaurito i suoi effetti globalizzanti. Ciò che molti anelano nel vino è la leggerezza del territorio, per recuperare appieno il senso del concetto di terroir espresso dal geologo Laville: “un insieme di criteri naturali che il vignaiolo non può e non potrà modificare facilmente con ragioni tecniche ed economiche”. Un’equilibrata naturalità, che includa ogni filosofia di filiera, e trasmetta nel vino quella “specificità di valori stabiliti dai rilievi, dal clima, dal suolo e dal sottosuolo”. Che stia nascendo l’umanizzazione del vino? Vedremo.