botrytis brothers
Fabio Rizzari

Acclamato e desiderato dai palati più celebri della storia, Château d’Yquem è il Sauternes riconosciuto universalmente per la sua finezza senza pari. Ma a poche centinaia di metri forse c’è un suo pari, e non è un cru classé.

Se esistesse un celebrometro, un misuratore di celebrità, sarebbe divertente effettuare una rilevazione dalle parti di Sauternes, territorio patria dei grandi bianchi liquorosi di Bordeaux. Poniamo che in un celebrometro la scala raggiunga il valore massimo testando la Gioconda di Leonardo, o l’incipit della Quinta Sinfonia di Beethoven, o la ricerca su Google “Quando parte il reddito di cittadinanza”. E che al punto opposto l’indice resti sullo zero testando il modellino in legno di transatlantico Andrea Doria costruito da mio zio o la ricerca su Google “Come aiutare il Comune di Roma tramite donazioni”.


Provando dunque il celebrometro con “Château d’Yquem” si raggiungerebbero valori molto alti, prossimi al vertice: almeno usando come insieme campione gli amanti di vino e i bevitori più navigati. Sullo stesso gruppo di individui, invece, con “Château Raymond- Lafon” l’apparecchio registrerebbe una reazione piuttosto debole: a un quarto della scala, se va bene. Eppure i due vini sono veri e propri fratelli, se non addirittura gemelli. Andiamo con ordine. L’augusto, imperiale, assiro-babilonese Château d’Yquem è senza alcun dubbio il vino bianco dolce più famoso del pianeta Terra. Osannato da schiere di enofili adoranti, vanta una teoria di vendemmie unica, capace di attraversare due secoli: la più vecchia annata di Yquem scambiata tra collezionisti (e venduta all’asta tempo fa per la bella cifra di 78.105 sterline) è il 1811. Anche se mi pare di ricordare che una mia vecchia conoscenza, ora sparita nelle nebbie, il commerciante e broker internazionale Paolo Badaracco, avesse nel suo leggendario catalogo un Yquem della fine del XVIII secolo. Yquem non è “un” vino dolce, è “il” vino dolce par excellence. Non si contano gli aneddoti che lo riguardano. Uno dei più evocativi rivela come alla tavola del conte de Lur Saluces, storico proprietario (la famiglia lo ha avuto tra i suoi possedimenti dal 1785 fino all’acquisizione nel 1996 da parte dell’onnivoro gruppo del lusso LVMH, Luis Vuitton Moët Hennessy), nelle fredde sere d’inverno si consumasse Yquem quasi come un sorbetto ghiacciato: “Vi si poteva passare un dito sopra la superficie, lasciandoci un solco”.