I garage a volte custodiscono vere e proprie chicche per amatori e collezionisti: non ambìte fuoriserie, ma microvinificazioni domestiche che, sorte in Francia, animano anche alcuni movimenti di produttori italiani.
tenute in garage
Gabriele Casagrande
Qualche decina di piante, una rimessa, pochi attrezzi e giusto qualche accorgimento per la gestione dei processi. Questi elementi sono più che sufficienti per accendere la scintilla della passione per il vino. In Italia non costituisce una notizia vinificare in proprio o imbottigliare del vino acquistato in damigiana presso una cantina. Fa notizia, invece, che diversi appassionati di vinificazione domestica si organizzino in una comunità che si confronta on-line per discutere di agronomia, vinificazione e gestione dei processi di maturazione, con la supervisione di enologi e altri professionisti del settore che forniscono supporto in maniera volontaristica. Questi produttori animano la comunità nazionale del “Vino in garage”, un’associazione informale che si riunisce nella piazza virtuale di Facebook per scambiarsi commenti in vista di un travaso, o in merito alla fermentazione alcolica, alla malolattica, alla scelta del legno per il riposo del proprio vino.
Tra loro si chiamano “Garagisti”, perché gli spazi a disposizione per la vinificazione e il volume trattato è davvero di dimensioni esigue, esattamente come quei produttori bordolesi di Saint- Émilion che, dalla fine degli anni Settanta all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, ottennero il favore della critica enologica mondiale, per poi mettere sul mercato bottiglie di culto, oggetto di desiderio per collezionisti di tutto il mondo. Alcuni esempi? Una scatola da sei bottiglie di Château Le Pin può tranquillamente superare gli 11.000 euro, mentre una bottiglia di La Mondotte si attesta sui 600 euro, e una di Château Valandraud arriva a costare 500 euro. L’artefice di quest’ultima etichetta, il commerciante di vino Jean-Luc Thunevin, spiega che cosa significa essere autenticamente garagisti: “Il vero garagista non ha altre possibilità perché non ha soldi, né grandi vigneti. Deve fare il meglio che può, perché deve vivere con la vendita di tremila bottiglie”. Se questo principio può essere ritenuto valido al cento per cento per quegli artigiani che in Francia diedero vita a piccole produzioni di nicchia, in Italia l’audacia e il dedicarsi al vino con quel poco che si ha sono legati da un filo preciso: la passione e il divertimento. Perché il garagista italiano, nella vita di tutti i giorni, non è un produttore professionista, ma è un dilettante, che per procurarsi da vivere ha un’altra fonte di reddito non proveniente dalla viticoltura o da attività agricole.