Orvieto è un’isola immersa nel verde che tinteggia in primavera le vallate del Paglia e del Tevere, un bastione di tufo sul quale si eleva il Duomo, come posto da una mano gigante tra le strette vie e le piazze medioevali a ornamento della città. Il contrasto profondo tra la policromia dei marmi e il tono bruno dei palazzi in tufo e dei costoni della rupe rende ancor più maestosa e potente l’immagine che si coglie. Quello che non appare è una rupe crivellata da caverne naturali: se ne contano circa milleduecento, sfruttate per millenni come cave di materiale da costruzione e come risorsa per l’acqua e la produzione di vino. Sono utilizzate ancora oggi, rinnovando a ogni vendemmia un legame ancestrale e indissolubile.
Desta grande stupore calarsi nelle profondità del pozzo di San Patrizio, un’opera rinascimentale che ha in parte inglobato una caverna naturale. Ma più che con l’acqua, Orvieto ha da sempre un legame stretto con il vino. La coltivazione della vite e la produzione di vino risalgono all’epoca etrusca, come attestano i celebri affreschi delle tombe Golini, raffiguranti un banchetto con brocche di vino in primo piano, o il nome stesso della città etrusca Velzna, che ha assonanza con il termine vina, “vigneto”. La fama del vino di Orvieto era grande fin dai tempi antichi, e si protrasse in epoca medievale e rinascimentale grazie a vescovi, cardinali e papi che soggiornarono nella città o nei dintorni. Negli anni in cui la città fu residenza pontificia, fusti del celebre vino erano spesso inviati a Roma, destinati a personaggi di rilievo, tanto che meritarono l’epiteto di “vino dei papi”. Colpisce trovarlo espressamente richiesto nei contratti di lavoro per la costruzione del Duomo come forma di pagamento. Nel 1496 l’Opera del Duomo concede al Pinturicchio “sei quartenghi di grano per ogni anno... e il vino necessario”. Nel Cinquecento, per la realizzazione degli affreschi della Cappella di San Brizio, l’Opera è tenuta a consegnare a Luca Signorelli ogni anno dodici some di vino (circa mille litri). E alla fine del Seicento la fama del vino di Orvieto è espressa in modo sagace nella petizione presentata per voce di Pasquino a papa Paolo V Borghese, in occasione dell’inaugurazione dell’acquedotto romano all’Acqua Marcia: “Il miracolo è fatto, o Padre Santo, / con l’acqua vostra che ci piace tanto; / ma sarebbe portento assai più lieto, / se l’acqua la cangiaste in vin d’Orvieto”.