be(er) unconventional
Riccardo Antonelli

Parliamo di birre artigianali, e nello specifico di una caratteristica affascinante delle birre artigianali italiane, che tuttavia nasconde un’insidia: il mondo del “famolo strano”.


Al contrario di tanti paesi a lunga tradizione brassicola, l’Italia si è fatta conoscere per i suoi elevati picchi di qualità soltanto negli ultimi vent’anni. Prima avevamo una relativamente lunga tradizione di stampo esclusivamente industriale, fattore che non è per forza sinonimo di bassa qualità: basta pensare al mondo belga o a quello bavarese per comprendere che non c’è correlazione tra numero di lotti prodotti e bassa qualità degli stessi. Certo, con produzioni piccole abbiamo la responsabilità di tenere sotto il nostro controllo ogni più piccola sfumatura, mentre con elevate quantità questo non sempre è possibile. Mi spiego meglio. Spesso, per logiche commerciali o di distribuzione in areali molto distanti dal sito di produzione, l’adozione di alcune tecniche per il confezionamento, quali filtrazioni spinte o pastorizzazione, a favore di una più longeva stabilità comporta una netta ed evidente perdita di piacevolezza e complessità organolettica.


Purtroppo per noi, la tradizione italiana è sempre stata dettata da grandi numeri senza ricercare così profondamente la qualità, non è un segreto. Con l’avvento del micro-mondo delle birre artigianali nel 1996, però, cambia lentamente il punto di vista. Ci si concentra improvvisamente sul bicchiere (dettaglio non da poco per un prodotto sovente svilito dal consumo “a canna” dalla bottiglia), sulla degustazione e sulle emozioni che una birra è in grado di regalare. I vari birrai italiani affermano le proprie capacità, non solo rispolverando gli antichi stili cancellati dalla memoria dalle strutture industriali a favore di una iper-ricerca di omologazione, ma anche ricercando un profondo legame con il territorio di appartenenza. Studiano e valorizzano materie prime estranee al classico quadro brassicolo (acqua-malto-luppolo-lievito) per comprendere come questi frutti/spezie/botaniche possano sposarsi armoniosamente.


Ora, immaginiamo questa “corsa agli armamenti” fatta da un popolo tra i più ingegnosi e poetici in assoluto, e contestualizziamola all’interno dell’enorme biodiversità agricola che il nostro stupendo Stivale ci regala. Improvvisamente la realtà produttiva del birraio artigianale ruota attorno alla ricerca nuda e pura. Si insegue la voglia di novità, delineando così la prima caratteristica delle birre italiane: l’impiego di materie prime tra le più singolari e desuete. L’estro come ingrediente fondamentale, attraverso strade inesplorate.