Magna Verona
Morello Pecchioli

Sarà Verona il cuore enogastronomico del 53° Congresso Nazionale AIS, dal 22 al 24 novembre 2019. Prepariamoci con una golosa dissertazione storica e culturale sulle prelibatezze scaligere.

Breve corso d’istruzione cultural-gastronomica-psicocaratteriale per diventare un autentico veronese tuto mato. Almeno per i tre giorni del congresso dell’Associazione Italiana Sommelier. Iniziamo con il saluto rivolto a Verona dal vescovo Raterio, che la stava lasciando, nella prima metà del X secolo d.C.:“Magna Verona vale, valeas per secula semper, et celebrent gentes nomen in orbem tuum”. Addio grande Verona, vivi nei secoli per sempre, e le genti celebrino il tuo nome nel mondo. Bellissimo saluto. Però, però... quel Magna Verona”, oltre che un addio, ci sembra anche l’invito in dialetto scaligero a un’abbuffata. Un doppio invito: esortativo per i veronesi Verona, magna”; un consiglio per chi viene da fuori Magna Verona”, nutriti di Verona. Dei piatti, cioè, che la identificano: pastissada de caval, gnochi, pasta e fasoi con le codeghe, bigoli con le sarde del Garda, risoto col tastasàl, pandoro e, sublime concentrato di veronesità, lesso con la pearà, la salsa a base di pepe, pan grattato e midollo di bue che salvò Rosmunda, regina dei Longobardi, dall’inappetenza e dalla prostrazione in cui era caduta dopo essere stata costretta dal marito Alboino a bere nel cranio, trasformato in coppa, del padre ammazzato dallo stesso Alboino.


Questo racconta la leggenda.Vera o no, non c’è dubbio che fiumi di pearà scorrano da secoli nel sangue dei veronesi mescolati ai globuli rossi, innalzando, oltre al colesterolo, il livello del matésso, quello stato d’animo, cioè, che sta tra l’allegria e la pazzia. Veronesi tuti mati, dice il proverbio. La pearà mette il fuoco nelle vene. Te pearìna si dice di una donna vivace e con la lingua sciolta.


Non è un difetto. Anzi, è una lode alla pearà e alla donna indipendente: alla femmina-pearìna e a Rosmunda, che dopo aver gustato la salsa ritrovò l’appetito e la fame di vendetta. Blandì a tal punto Elmichi che lo spinse ad accelerare la dipartita di Alboino.

Pearà e frequentazione delle osterie veronesi in compagnia del poeta Berto Barbarani e del pittore Angelo Dall’Oca Bianca, locali dove si trovano i grandi vini del territorio abbinati ai piatti tipici (risotto all’Amarone, agnolini di Valeggio, polenta ’nfasolà...) trasformarono, cent’anni fa, perfino il rigido giornalista teutonico Hans Barth in un veronese tuto mato, che tra un bicchiere di Bardolino e uno di Valpolicella ebbe visioni oniriche:“Passavan su i carri / diritte e bionde le donne amàle / entro la bella Verona, odinici / carmi intonando”. Barth elevò un canto di vino a Verona, “la grande osteria dei popoli, Olimpo, Walhalla, Eden a un tempo; un’osteria potente, coronata di lauro, aureolata di poesia”.