Sfrecciando sull’A4, gli occhi puntati sull’autostrada, si rischia quasi di non accorgersi, complice il ponte dell’Autogrill, che lungo il lato dell’uscita Soave/San Bonifacio si apre uno degli scenari viticoli più spettacolari del Belpaese: colline di forma conica di chiara origine vulcanica si dispongono fieramente sopra il borgo antico, attorno al corpo merlato dell’imponente Castello scaligero, sui due versanti del monte Foscarino. È il territorio del Soave, illustre vino bianco dalla storia secolare, dalla fama controversa, dalla qualità indiscutibile.
Il vino “acinatico” (acinaticus) o “acinaticio” (acinaticius), prodotto con appassimento delle uve e progenitore dell’attuale Recioto, è citato nel III secolo dallo scrittore latino Palladio Rutilio Tauro Emiliano come “dolcissimo, denso, robustissimo” e ripreso nella celebre epistola di Cassiodoro della prima metà del VI secolo, in cui è descritto “di candida bellezza”, “puro”, che “risplende per il suo biancore”, nato dai gigli e dispensatore di “soavità”, mentre la citazione dell’uva “garganica”, l’odierna garganega, da parte di Pier de’ Crescenzi nel Trattato dell’agricoltura risale ai primi anni del XIV secolo.
Soave è un comune di settemila abitanti circondato da una cinta turrita eretta nel 1369 da Cansignorio della Scala, che ampliò anche il Castello medievale sul monte Tenda, costituito da un accesso su ponte levatoio, un mastio e tre cortili di diverse dimensioni. Il borgo, a cui si accede da tre porte (Porta Bassano, un tempo Porta Aquila, a nord, Porta Vicentina a est, Porta Verona a sud), è letteralmente punteggiato di edifici storici, religiosi e civili.