a bordo del Clandestino Sandra Longinotti Bianco, tanto bianco e azzurro. Arrivare al Clandestino al tramonto lascia il segno. Alla fine della stradina sterrata che dal parcheggio conduce alla spiaggia libera di Portonovo, si resta quasi abbagliati dalla luminosità della sabbia bianca che contrasta con i toni del cielo e del mare. Azzurro il chiosco del Clandestino, blu i calici dell’acqua, bianchi gli ombrelloni, i tavoli, le tovaglie. Avvicinandosi a quella piccola oasi oltre la macchia mediterranea, l’emozione sale. È il regno di Moreno Cedroni, chef visionario, patron del ristorante bistellato Madonnina del Pescatore a Senigallia, dove ha aperto anche Anikò, informale salumeria ittica, vero “spaccio di bengodi” marini. Prima di scoprire il suo talento in cucina il suo percorso professionale è iniziato in sala. Sommelier professionista AIS, è stato Miglior Sommelier delle Marche nel 1996, finalista al Concorso nazionale e poi docente abilitato per la lezione del terzo livello sui prodotti ittici. “La didattica dell’AIS è eccezionale” afferma Moreno, “sempre attuale e all’avanguardia; sforna persone competenti, appassionate, e ha aumentato la cultura del vino in maniera esponenziale. Devo dire che a me è servita molto, e continua a servire per l’accostamento dei vari gusti all’interno di un piatto, oltre che per l’abbinamento tra il cibo e il vino. Mi sento completo, perché ho entrambe le visioni.” Al Clandestino si mangia il Susci con la C. “Il mio Susci nasce a metà degli anni Novanta come modo di concepire le ricette senza gli ingredienti tipici del sushi” racconta. “Successivamente ho preso spunto dalla cucina tradizionale marchigiana, trasformata in chiave di lettura cruda, e cinque anni dopo ho lanciato l’idea dei menu tematici con ingredienti crudi e cotti, come nella cucina giapponese.” La prima stagione del Clandestino risale al 2000. “Tutto è iniziato da un incontro con un amico, andando a cena nel suo ristorante con mia moglie Mariella. Una mattina di fine maggio mi chiama per dirmi che aveva preso questo locale, un posto strano, stanco di fare sempre la pasta con le cozze. ‘Ho visto che fai questo Susci con la C…’ ammicca. Apriamo il 10 luglio. È nato in questo modo, non per gioco ma nemmeno con le idee chiarissime. Con Mariella avevamo l’abitudine di andare tutti i lunedì a Portonovo, era il nostro posto del cuore; così mi sono deciso di provare, trattandosi di un’apertura estiva di tre mesi, che ora abbiamo allungato a sette.” Il Clandestino prende vita da aprile a metà ottobre. A ogni riapertura Moreno propone anche un nuovo menu a tema costruito insieme al sous-chef, Luca Abbadir: quest’anno è la volta del Susci Mediterraneo, caratterizzato da una presenza vegetale rilevante. Si parte con un gin Gino e , Pino tonic aromatizzato con estratto di aghi di pino, seguito da In Fermento , r icciola con salicornia, salsa di piselli, acetosella e verdure fermentate. “La è il pesce preferito: al Clandestino è sempre presente, tanto che ogni ricciola mio anno mi sfido a creare un piatto migliore del precedente. Per La Madonnina nascono una o due ricette con la ricciola ogni anno e lo stesso succede col tonno bianco. Qualche anno fa mi sono fatto portabandiera per ridurre l’utilizzo del tonno rosso e ho iniziato a sostituirlo con l’alalunga, che nel piatto (Tra) Fillide e Acamante è poco cotto, impanato ai pistacchi e fritto, accompagnato da una salsa di mandorle e foglie di senape.” La scelta di utilizzare una parte vegetale non canonica caratterizza ogni piatto del nuovo Susci Mediterraneo, fino al dolce, con piante che crescono vicine al mare, come la salicornia, o in collina, come l’acetosella, essenze spontanee come la malva, e ancora tuberi e radici. Alcuni forager del Frusinate che coltivano e raccolgono erbe spontanee garantiscono la borragine, l’ortica, la malva, e pure la foglia molto amara del tarassaco, che impreziosisce , creando un contrasto interessante con la tendenza dolce del granchio reale. Dopo un predessert di gelato al cappero con estratto di acmella e un pizzico di pregiatissimo caffè etiope della foresta di Kafa, si chiude con , una rivisitazione della torta caprese con la scorzonera al posto delle mandorle, gelato al topinambur e brodino di acetosella. Soffio di Mare Terre di Mezzo Chi non segue il percorso del menu trova in carta una selezione di piatti degli anni precedenti, come il (2000), evocativo del gioco dell’oca. Il tema ludico è una caratteristica ricorrente: nel Susci Letterario (2014), è un piatto ispirato a Leopardi, in cui l’orzo perlato modellato con uno stampino viene sformato su una salsa di vongole e brodo di cocco e lime. “Dato che Leopardi odiava la Gioco del tonno Odio alla minestra minestra (a undici anni le dedicò la poesia A morte la minestra ), invitavamo gli ospiti a rompere questa forma per mescolare l’orzo col brodo” racconta lo chef. Di quel menu resta in carta lo sgombro: “Nel romanzo Tokyo Blues Murakami scrive di aver mangiato lo sgombro al miso più buono della sua vita, quindi ho pensato: o lui può scrivere quello che vuole, oppure è buono veramente. Non avevo ancora usato il miso, l’ho provato e lo sgombro era talmente buono che è nato un piatto ancora in carta”. La (2001) è un piatto della prima Madonnina, “il mio vero e proprio inizio, una ricetta che mia madre faceva con le vongole e che ho impreziosito con gamberi e capesante crude”. L’ispirazione marchigiana resta, e si ritrova nel del menu Vichingo (2018), prendendo spunto dalla ricetta tradizionale dello stoccafisso all’anconetana, insaporito con un trito di capperi, acciughe, prezzemolo e aglio, a cui Moreno ha aggiunto le note acidule dell’acetosella, una granita di cipolla e una piada al farro. Polentina ai frutti di mare cotti e crudi Frigg/Freyia “Nel primo Clandestino c’erano piatti con meno ingredienti, meno note amare e acide, quindi un poco più corti. Ora hanno evoluzioni più raffinate, sono più persistenti nel gusto, più vari di intensità, e quindi li ricordi in maniera diversa.” Il Clandestino è un insieme di emozioni, con la natura selvaggia del luogo, i profumi del mare e l’onda a volta invadente. “Non voglio sovrappormi ma solo affiancarmi a queste belle sensazioni; desidero che i miei ospiti portino a casa un gusto, una texture, senza strafare. Il tarassaco amaro insieme alla pasta all’uovo è squisito, te lo ricordi. L’ortica cotta sulla griglia lascia il segno e non perché punga, il calore brucia la parte urticante, la rende croccante e le fa prendere un’aromaticità poi impreziosita dalla polvere di capesante alla base del piatto: in pratica, un ingrediente alimenta l’altro.” Il tocco finale lo appone il direttore di sala, Massimo Franzin, con una carta dei vini in continua trasformazione e un approccio al cliente informale. Per lui è importante trasmettere la passione per il mondo del vino e per la cucina entusiasmante dello chef. Il suo lavoro è facilitato dal luogo, perché chi si accomoda a tavola già si emoziona. Gli abbinamenti sono scelti in base al sapore del piatto e alla memoria del vino, cercando di capire i gusti dell’ospite. Una parte rilevante della carta è di provenienza francese, con Champagne, molti vini della Loira, della Borgogna, qualcosa di Provenza e Roussillon, e un po’ di Germania per il Riesling. In Italia la prevalenza è per la Campania, con vini che hanno sempre una componente minerale; sono ben rappresentate la Sicilia, la Toscana, il Friuli, e naturalmente una larga parte è riservata alle Marche. Massimo predilige piccole produzioni che valorizzano la terra e i grappoli, con pochi trattamenti in vigna e limitato uso dei solfiti in vinificazione. Pochissimi i vini rossi: “In questo momento ho un Morgon, uno dei cru del Beaujolais, nel quale l’uva gamay conferisce poco colore e una blanda matrice tannica, o l’Alicante di Ampeleia, che fa una macerazione sulle bucce molto breve e valorizza la componente fruttata.Vini che riescono ad avvicinarsi al piatto di pesce senza sovrastarlo, come il Pinot Nero, qualche Montepulciano poco macerato, o il Lacrima di Morro d’Alba. Ad esempio, l’Alicante di Ampeleia accostato a una ventresca di tonno arrostita è perfetto perché la ventresca ha una componente grassa che incrementa la morbidezza e la speziatura si accorda a quel filo di pepe dell’Alicante”. A , ricciola con salsa di piselli e verdure fermentate, abbina lo Chablis Les Serres di Domaine Oudin: uno Chardonnay un po’ burroso ma senza eccessi, che nasce su un terreno a strati calcareo e roccioso; la matrice sapida pulisce perfettamente la bocca e la componente fruttata abbraccia la tendenza dolce della ricciola, giocando con la mineralità; l’elemento acido delle verdure fermentate, che ricorda la giardiniera, va a braccetto con la morbidezza del vino. In alternativa, il Soave Castelcerino di Filippo Filippi, una Garganega fatta a regola d’arte, dove la mineralità dei terreni vulcanici riesce ad accompagnare perfettamente il piatto. In Fermento Al accosta il Verdicchio Vigna di Gino di Fattoria San Lorenzo, un vino di struttura, non filtrato (una produzione esclusiva per questo locale): non presenta una spiccata acidità, e la caratteristica sensazione di mandorla nel finale del Verdicchio si armonizza al tarassaco. Soffio di Mare Talvolta si prendono in considerazione birre particolari, maturate in botte con una leggera aromatizzazione. È il caso di (2017), un’anguilla spalmata di miso e affumicata con foglie di alloro, con cavolfiore, verdure in agrodolce, succo d’uva: trova equilibrio, ad esempio, con una birra inglese del birrificio The Wild Beer, dalla tendenza acida e salata. “La proposta alternativa è il Pouilly Fumé di Alexandre Bain, un piccolo produttore della Loira che lavora seguendo i dettami della biodinamica. Esce dai canoni del sauvignon raccolto prima della maturazione fenolica, giocato sull’acidità; lui ne fa una versione fruttata, con una sosta in botte che dona una traccia fumé perfetta con l’affumicatura dell’anguilla.” Corte d’Este Massimo Franzin, che si definisce “in degustazione permanente da venticinque anni”, ha sempre più vini in mente rispetto alla settantina di etichette che mette in carta. Il suo escamotage è farle ruotare spesso; gli piace comprare piccole partite che si avvicendano, così la carta dei vini continua a variare, e i clienti sono curiosi di scoprire le novità. A fine serata, nell’oscurità illuminata solo dalle stelle e dalle sfere di luce del ristorante, disseminate sulla spiaggia, si intravede una chiesetta e il profilo della scogliera. I suoni e i profumi del mare si fanno più nitidi e si mescolano a tutte le belle sensazioni gustative provate. Riattraversando la macchia mediterranea, il Clandestino sparisce ed è già ricordo. Ma esiste veramente?