gli scenari dello Sherry
Roberto Bellini

Ogni vino ha il proprio destino? Rispondere a questa domanda nasconde insidie pericolose, perché la parola destino non racchiude in sé solo l’irrevocabile fatalità stabilita dal succedersi degli eventi o la conseguenza di una volontà superiore. Nel caso dello Sherry, può essere anche il succedersi degli eventi ritenuti necessari per ottenerlo: esso ha un destino inesorabile e simbolico che lo costringe a un percorso fatalmente irrevocabile e per questo pieno di fascino.


Lo Sherry ha una genesi antichissima e nebulosa, e già l’origine dell’insediamento di Jerez è misteriosa. Indubbiamente fenici, cartaginesi e greci contribuirono a costruire la reputazione del vino di quest’angolo meridionale della penisola iberica; lo stesso si può dire dei romani e pure dei mori, i quali, oltre a lodare la leggiadria del paesaggio di Xerez, “punteggiato di vigneti, oliveti e piante di fico”, non disdegnavano un uso diverso da quello consentito dal loro credo, che era medicamentoso. Al-Mu‘tamid, ultimo monarca di Siviglia, lo apprezzava così tanto che canzonava chi beveva acqua, mentre il poeta Abu Abd al-Malik Marwan (963-1009) osa di più:“Spesso la coppa ha vestito le ali dell’oscurità con un mantello di luce splendente! Da quel vino che viene avanti dal sole. L’oriente fu la mano di una graziosa coppiera, e le mie amate labbra furono l’occidente. Tra le sue bianche dita il calice del dorato vino era un narciso giallo addormentato in una coppa d’argento”.


Questa straordinaria descrizione, insieme cromatica e aromatica, è uno dei primi indizi della personalità del vino ottenuto nell’areale di Xerez: dorato, brillante nella tinta, luccicante in limpidezza e ricco d’effluvi floreali; di gusto, però, non si parla. Non si rintraccia nemmeno con sufficiente chiarezza come, dove e quando quel vino delicato e spesso deboluccio sia stato fortificato, anche se gli indizi portano ai mori e alla loro abilità di distillatori. Geoffrey Chaucer nei Racconti di Canterbury, più precisamente nel Racconto dell'indulgenziere, cita un vino di Lepe (vicino all’attuale Jerez) con connotazioni di “fumositee”, il cui equivalente degustativo altro non è che potenza alcolica nella struttura.