Generosa e nutriente come il grano, la castagna scaldava il cuore e la pancia al sopraggiungere dei primi freddi autunnali, alimentando anche la fantasia culinaria di rinomati ghiottoni.
la castagna, una cuccagna
Morello Pecchioli
Il tartufo? È di destra. Liberal-cavouriano. Camillo Benso si serviva del bianco d’Alba per tessere alleanze. I suoi pranzi diplomatici odoravano di tuber magnatum. Il tartufo ha lo straordinario aroma della ricchezza (per molti è puzzetta al naso) e un prezzo ancor più straordinario. Il fungo è di centro. Democratico, non privilegia nessuno: se è buono piace a palati aristocratici, borghesi e salariati; se è velenoso manda tutti all’ospedale o al camposanto. La castagna è di sinistra. Proletaria e socialista. Le ingiustizie sociali le stanno sui marroni. Considerata da sempre un frutto povero, ma generoso di calorie e di benèfici sali minerali, ha sfamato nei secoli generazioni di famiglie montanare dell’Italia alpina e appenninica. Guai se fosse mancata la plebea castagna nei periodi più affamati della nostra storia.
Ricca di amido, la castagna ha un valore nutritivo che l’apparenta al grano.Tanto che fin dall’antichità il castagno si è meritato il titolo di “albero del pane”. Lo storico greco Senofonte, convinto del valore alimentare della “noce piatta” - così la chiamavano nella Grecia del IV secolo a.C. -, sostenne che la farina della castagna era una valida alternativa a quella dei cereali. Anche Ippocrate, medico, padre della medicina e sostenitore della teoria degli umori corporali (mantenerli in equilibrio preserva la salute), ne promosse l’uso alimentare per l’alto valore nutritivo. Qualche decennio dopo il botanico Teofrasto confermò il potere nutritivo della “ghianda di Giove” (è sempre la castagna) nella Storia delle piante.
Nel Cinquecento Pietro Andrea Mattioli, umanista e medico, vissuto a Padova, Siena, Gorizia,Trento, nei Commentarii afferma: “Nelle montagne ove si raccoglie poco grano, si seccano le castagne e fassene farina la quale valentemente supplisce per farne pane”. L’umanista modenese Giacomo Castelvetro riferisce in quegli stessi anni: “Migliaia de’ nostri montanari si cibano di questo frutto in luogo del pane il quale o non mai, overo di rado, veggono”. Vincenzo Tanara, agronomo del Seicento, ribadisce che il pane fatto con la farina di castagne “levatone quello di formento, nutrisce più di ogni altro grano”.