il gusto del presepe
Barbara Ronchi della Rocca

Una piacevole carrellata sulle figure del presepio e sul loro valore simbolico, con particolare attenzione ai personaggi che svolgono attività legate al cibo.

Non mi vergogno di ammetterlo: a me il presepe piace, in tutte le sue versioni, anche le più banali e kitsch. Non sopporto invece le statuine fatte in serie dai cinesi. Perché questo meraviglioso esempio di made in Italy, inventato da Francesco d’Assisi, il più italiano dei santi, e diffuso in tutto il mondo da missionari francescani e domenicani, parla di costumi e stili artistici tipici del nostro grande patrimonio culturale. E le varie statuette sono simboli, cioè riassunto, percezione della somma di elementi diversi, di arte “alta”, devozione popolare, storie, tradizioni, passioni, cibo, insomma, di una ricchezza tutta italiana che i fabbricanti cinesi non sono in grado di capire e apprezzare, e tantomeno esprimere.


A Napoli tutte le statuine del presepe si chiamano “pastori”, anche quelle che raffigurano Cristiano Ronaldo o il Presidente della Repubblica. E in tutto il mondo le musiche natalizie sono dette “pastorali”: perché i pastori sono i comprimari privilegiati della Natività. Anzi, oserei dire che sono i veri protagonisti, perché - ammettiamolo - nel presepe la scena principale, e più ammirata, non è quella che si svolge nella Grotta, quanto la vita che si svolge attorno a essa.


Molti non sanno che anche i Re Magi sono pastori: “pastori nobili”, che con il colore della pelle rappresentano i continenti allora conosciuti, e dal più vecchio Melchiorre al giovane Gasparre incarnano le tre età dell’uomo. Inoltre, i rispettivi cavalli, bianco, rosso e nero, delineano l’iter quotidiano del sole. Come dire che tutti i popoli e tutte le epoche accorrono ad adorare Gesù. Ai Magi è anche scherzosamente attribuita una simbologia più mondana e conviviale: sono gli ospiti ideali, poiché arrivano per ultimi, carichi di doni preziosi, e se ne vanno per primi. Tutti comportamenti socialmente assai apprezzati in questo periodo di feste e inviti.


Il Vangelo di Luca parla di pastori nomadi, che convivevano con gli animali, ritenuti impuri dagli Ebrei osservanti, che li consideravano alla stregua di ladri e usurai. Pertanto la loro presenza “in prima fila” in adorazione del Verbo incarnato è fortemente provocatoria, indice di una Buona Novella che per la prima volta si rivolge anche agli emarginati.


Eppure, nel primo presepe vivente, apprestato il 24 dicembre 1223 da san Francesco a Greccio (nel Lazio), c’era solo un bambino coricato tra un bue e un asinello. Di pastori si parla ufficialmente solo alla fine del XIII secolo, quando Salomone, vescovo di Bassora, dichiara che sono sette, e ne indica addirittura i nomi: Asher, Zabulon, Giusto, Nicodemo, Giuseppe, Barsaba e Giosuè.