re Barbacarlo
Massimo Zanichelli

La verticale storica, dalla vendemmia 2018 fino alla prima annata prodotta, 1958.

Il vino deve sapere di vino.
(Lino Maga)


È il 3 novembre del 2019 quando entro nella casa-bottega dei Maga in via Mazzini a Broni, luogo iconico che è negozio, laboratorio, pensatoio, antro creativo disseminato di oggetti: libri, riviste, ritagli di giornale, fotografie, illustrazioni, quadri, mazzi di carte da gioco, macchine da scrivere, frasi scritte su fogli di cartone che assomigliano a sentenze e aforismi, bottiglie di vino dappertutto, sui tavoli, sulle mensole, sul pavimento, sul ripiano del camino. Ripenso a tutte le volte in cui sono stato qui ad ascoltare la saggezza antica di Lino Maga, anzi Maga Lino, come vuole essere chiamato alla maniera dei contadini, “perché nella parlata dialettale prima viene il cognome e poi il nome”. Classe 1931, è un agricoltore d’altri tempi, un vignaiolo capace di ascoltare le voci della terra, un vinificatore di talento, un uomo buono che per più di vent’anni ha ingaggiato una coraggiosa, aspra, spossante battaglia contro la stolidità della burocrazia per rivendicare ciò che apparteneva di diritto alla sua famiglia: l’esclusività di un luogo e di un vino che è patrimonio dei Maga dal 1884, lasciato in eredità da Carlo Maga, trisavolo di Lino, e da allora chiamato Barba Carlo, ovvero “di zio Carlo” (nel dialetto pavese barba significa infatti “zio”).


“Il vino lo fa la terra e il sudore dell’uomo”, dice Lino, un’eterna sigaretta sempre in bocca. Ha cominciato a vendemmiare a sei anni al fianco del padre, con cui ha lavorato per quarant’anni, trascorrendo una vita intera tra le vigne e ricordando perfettamente tutti gli andamenti stagionali delle sue vendemmie, come il grado alcolico dei suoi vini, per lui sinonimo di sole, di calore, di maturità dell’uva. Raramente Lino parla del suo vino, che per lui è la naturale conseguenza dell’annata e dei parametri fondamentali: gradazione alcolica, zuccheri residui, pH, acidità volatile, sempre trascritti sulle etichette come atto di trasparenza verso il consumatore. È indicato anche il valore dell’anidride solforosa, uno dei grandi tormentoni del nostro tempo, quello dei famigerati “solfiti”, che nel Barbacarlo raramente superano la soglia fisiologica dei 50/55 grammi per litro. Il metabisolfito, del resto, è usato solo per tenere lontani i moscerini dalle botti o per disinfettarle.