Il lievito è un microrganismo unicellulare, appartenente al genere Saccharomyces, responsabile del processo fermentativo, ovvero di un susseguirsi di fasi e reazioni che lo vedono protagonista, essenzialmente ma non solo, nella conversione degli zuccheri provenienti dal malto d’orzo in etanolo e anidride carbonica, con concomitante generazione di calore.
In Italia la produzione e il commercio di birra sono regolati dalla legge n. 1354/62 e successive modificazione fino al più recente DPR 272 del 1998 e s.m.i. L’articolo n. 1 di questo decreto recita: “La denominazione birra è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces Carlsbergensis (attenzione, sostituito più avanti con il più congruo nome Saccharomyces Pastorianus [N.d.A.]) o di Saccharomyces Cerevisiae di un mosto preparato con malto, anche torrefatto, di orzo o di frumento o di loro miscele e acqua, amaricato con luppolo o suoi derivati o entrambi”.
Due i lieviti a disposizione per la produzione brassicola e due le tipologie di fermentazione: alta e bassa fermentazione.
La prima, più antica, prevede l’utilizzo del saccharomyces cerevisiae, il cosiddetto “lievito da birra” con cui si realizzano da secoli vino, pane e prodotti della pasticceria lievitata, oltre alle birre ad alta fermentazione, le famose Ale. Questa categoria di birre ha avuto nei secoli grande diffusione grazie alla capacità di questo lievito di svilupparsi nei climi miti europei. Infatti, si propaga e fermenta ottimamente tra i 15 e i 25 °C, temperature facilmente riscontrabili alle nostre latitudini per circa 7-8 mesi l’anno. Sino alla realizzazione della prima unità di refrigerazione commerciale, nel 1859, grazie all’americano Alexander Twining, i birrifici europei potevano brassare i loro nettari solo nel periodo dell’anno più favorevole dal punto di vista climatico.