la fragilità del vino
AIS Staff Writer

I primi mesi del 2020 sono stati molto interessanti per il mercato del vino, ma con risvolti non sempre positivi.

Partendo dal clima che ha caratterizzato l’inverno nei vigneti italiani, non si dovrebbe parlare di comportamento anomalo, piuttosto di una deviante irregolarità. La stravaganza climatica in vigna sta diventando da qualche anno una costante, tanto che, a detta di qualche vignaiolo del Sud, la vigna non piange più a primavera, ma piange tutto l’anno. Concediamo a questa affermazione il beneficio dell’ironia, ma chi ha dato un’occhiata alle vigne appena potate nel mese di febbraio, qualche dubbio l’ha avuto. Non sappiamo che cosa accadrà, ma un avvio traballante è temuto da molti vignaioli, anche i più ottimisti. Speriamo in bene.


Se affrontiamo le tematiche del vino fuori dalla vigna e dalla cantina, possiamo tirare, per ora, un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo dei dazi dell’amministrazione Trump. Non si può però rimanere tranquilli, perché la progressione della battaglia politica per insediarsi alla Casa Bianca potrebbe riservare qualche brutta sorpresa. Anche in questo campo, speriamo in bene.


Il 2020 è un anno bisestile e alcune credenze popolari dicono “anno bisesto anno funesto”, rifacendosi a eventi sfortunati accaduti in passato: peste e colera nel 1492, e più di recente il terremoto del Friuli nel 1976, le Torri Gemelle nel 2001, lo tsunami nell’Oceano Indiano nel 2004 e il terremoto a L’Aquila nel 2009. La criticità di questo bisesto 2020 è il COVID-19, il coronavirus. Essendo noi interessati al vino, ci chiediamo se e come il comparto vitivinicolo ne sarà influenzato. Le prime analisi di mercato non sono positive, tanto che qualcuno, prendendo spunto da Gabriel García Márquez, vorrebbe titolare gli eventi in accadimento “Il vino al tempo del coronavirus”.


In questi primi mesi di diffusione del virus in Cina, e poi via via, più flebilmente, in altre nazioni, sembra di vivere appieno le suggestive scenografie del romanzo. Oggi però non si tratta, come nel libro, di un amore inizialmente negato, ma di money affairs. In Cina l’isolamento dell’epicentro del focolaio e delle successive espansioni ha provocato il blocco di ogni attività non solo in quelle zone, ma anche in altre aree in cui l’effetto influenzale era al di sotto della normalità del periodo.


Il mercato cinese del vino negli ultimi anni aveva contribuito a innalzare la domanda, attivando una profittevole lievitazione dei prezzi nei top wines e aprendo le porte a molti altri prodotti di fascia medio-alta e medio-bassa, un segmento di mercato che interessa quasi tutte le nazioni produttrici di vino nel mondo. Ora la caduta dei consumi dovuta all’annullamento delle cerimonie, dei matrimoni e dei compleanni, o l’assenza di eventi legati all’attività dell’industria nazionale e internazionale hanno portato alla chiusura, anche prolungata, dei locali. I report sono scioccanti: la CCA - China Cuisine Association - registra un calo dell’80 per cento nell’attività ristorativa, prevalentemente nei fine restaurants, cioè quelli in cui si vendono i vini più costosi, mentre nei locali dei medium priced and cheap wines (in cui l’Italia è ben presente) l’attività si è dimezzata.


L’aspetto non investe solo la Cina, ma si riflette sugli affari di una trentina di nazioni toccate dal virus. Le aziende del vino che avevano destinato una fetta dell’export alla Cina, o ad altre nazioni coinvolte con il virus, potrebbero dover deviare le vendite sul mercato interno: si pensi all’Australia che ha avuto una débâcle del 90 per cento. In questo modo l’equilibrio tra domanda e offerta potrebbe variare, rischiando una corsa al ribasso dei prezzi che comprometterebbe l’andamento economico dell’anno appena iniziato. Gli scenari più ottimistici vedono una parziale ripresa del mercato cinese nel secondo semestre 2020, senza però recuperare il perduto, e si dovrebbe tornare a regime nel 2021. Non si riesce tuttavia a immaginare cosa comporti in termini di sviluppo di mercato l’annullamento delle fiere sul vino e sul cibo in Oriente: di certo non si sono generati nuovi contatti e questo non è positivo nel medio periodo. E il vino cosa può fare? Solo attendere, con la certezza che aiuti dallo Stato non ne arriveranno, non essendo un prodotto vitale.


In Italia, appena il virus ha fatto la sua apparizione, si sono innescati la caccia all’untore, che ha investito - ingiustamente - un’etnia, e il delirio di accaparramento dei generi alimentari. In questa baraonda il segmento economico a soffrire maggiormente è quello del vino e ciò a cui è strettamente apparentato, come l’Horeca. Le ripetute disdette interne ed esterne incidono sfavorevolmente in un contesto produttivo tra i più preziosi in Italia. Questo marasma crea le prospettive per un difficile conseguimento di positivi margini aziendali, e si rischia di innescare un vortice economico negativo, le cui incognite potrebbero riportare tutto il comparto a prima del 1980.


Il vino è un prodotto fragile, incapace di difendersi; la sua salvezza (intendiamoci, non è a rischio) è legata, come sempre, all’intelligenza delle persone. Usiamo la nostra intelligenza per combattere false credenze che non nascono dalla realtà del quotidiano. Siamo tutti sull’Arca, ma sotto non c’è tempesta, solo un po’ di mare mosso, pertanto cerchiamo di vivere le nostre fragilità in modo consapevole.