Alla Closerie des Lilas di Montparnasse un ventiduenne dell’Illinois alterna chiacchiere a grandi sorsate di scotch. Sua compagna di bevute è un’altra americana, una ragazza del vecchio Sud scappata a Parigi per trovare sollievo dal rimorso per il suicidio del marito. All’altro capo del mondo, nelle colossali stanze di una villa di West Egg si sta consumando l’ennesimo baccanale organizzato da un misterioso miliardario. Ad accompagnare uno dei ricchi invitati lungo la piscina di marmo c’è una ragazza dell’Upper East Side: si fa chiamare Holly, ma il suo vero nome è Lula. Non conosce il padrone di casa, ma con lui condivide frequentazioni pericolose ed eccessi alcolici.
Dovessimo rimanere fedeli agli anni che rappresentano, difficilmente la Holly Golightly, protagonista del celebre romanzo di Truman Capote, Colazione da Tiffany, potrebbe intervenire alla festa milionaria di Jay Gatsby, l’antieroe del Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald. Allo stesso modo, la Blanche DuBois di Tennessee Williams, in Un tram che si chiama desiderio, non vivrà mai l’atmosfera della “festa mobile” di Ernest Hemingway.
Fitzgerald, dopo aver conosciuto Hemingway nel 1925 al Dingo American Bar di rue Delambre, consumò più di una bottiglia in sua compagnia durante le folies degli anni parigini; così come Tennessee Williams rimase colpito dal giovane Truman Streckfus Persons (il vero nome di Capote), presentatogli nel 1947, tra un brindisi e l’altro, durante una cena a casa del comune amico Andrew Lyndon. A unire questi magnifici quattro, al pari di altri mostri sacri come Cheever, Carver, O’Neill, Faulkner, Steinbeck, Thomas, Berryman e London, non c’era solo l’amore per la letteratura, c’era l’alcol. Per dirla con le parole di un professore dell’Università dello Iowa, Lewis Hyde: “Su sette americani che hanno vinto il premio Nobel per la Letteratura, quattro erano alcolisti”, a cominciare da Ernest Hemingway, per il quale vale l’inquietante postilla: “e circa la metà dei nostri scrittori alcolisti ha finito per suicidarsi”.