il ricamo del vulcano
Fabio Rizzari

Il vulcano Etna è antico,ma non antichissimo.La sua nascita risale non a milioni di anni fa,ma a un’epoca relativamente più recente.L’Etna infatti comincia a formarsi nel Pleistocene Medio,ossia circa 570.000 anni fa: che è anche il tempo medio di attesa di un rimborso da parte della pubblica amministrazione. Per un periodo quasi equivalente i suoi vini sono stati consumati a livello locale, al massimo entro i confini della Sicilia. Fino a poco tempo fa i conoscitori di belle bottiglie, che bevevano Barolo, Barbaresco, Chianti, ne ignoravano in toto l’esistenza. Persino i nostri numi tutelari, i padri della Patria enologica italiana, ne hanno solo sfiorato la ricchezza. A quanto mi risulta nell’opera del pur acutissimo Paolo Monelli non si trova traccia dei vini etnei; il nome Etna è solo quello di un personaggio di un suo romanzo, Le scarpe al sole (1921). Luigi Veronelli ne ha fatto lampeggiare la complessità - con schizzi descrittivi sintetici - in varie pubblicazioni. Nel classico I Vini d’Italia del 1961 cita tra i rossi della provincia di Catania un misterioso Ombra di Mascalucia, un Solicchiata (in “Contrada Solicchiata, tra Randazzo e Linguaglossa”), e soprattutto un Vino del Bosco dell’Etna “di colore rosso rubino vivace, di odore vinoso, di sapore asciutto, con distinto gusto di cotto, sapido, alcoolico”, nonché un Vino di Mezza Montagna dell’Etna, “meno colorito e alcoolico del precedente, sapido, fresco”.


Mario Soldati parla con ammirazione delle rare bottiglie del Barone di Villagrande, ma nei fatti guarda al vino isolano con un certo sospetto, almeno iniziale: “caratteristica di qualunque vino siciliano è uno speciale sapore violento, acre, catramoso”.

Questi sguardi lacunosi non sono molto diversi dai nostri, accomunati dall’impossibilità di ricostruire nel vino etneo un percorso storico uniforme e soprattutto documentato da bottiglie più vecchie di un paio di decenni.


Chi infatti può definire in modo chiaro che cos’è il vino dell’Etna? Non esiste sufficiente profondità storica per azzardarsi a dare una definizione univoca. La vulgata attuale parla genericamente di “rossi profumati e poco colorati”,“di stile borgognone” e di “bianchi nervosi e minerali”. Descrizioni che hanno un fondo di verità, ma che suonano inevitabilmente generiche. Rispetto al passato i vini dell’Etna sono apprezzati e ricercati fin nel Borneo, ma il risultato - a parti inverse - è più o meno lo stesso: prima quasi ignoti per mancanza di bottiglie in circolazione, oggi quasi ignoti per eccesso di bottiglie in circolazione. Qui infatti ormai fanno vino centinaia di soggetti: imprenditori tessili, architetti, vetrai, stilisti, calciatori, investigatori privati, anestesisti, metronotte, massoterapisti, radioastronomi. Gli stili di vino si regolano di conseguenza: potenti, masticabili, leggeri, evanescenti, surmaturi, aciduli, semi-ossidati, macerativi, tannici, furbeschi, onesti, morbidi, fruttati, salati, e via andare. Neppure una delle figure più esperte e iconiche del posto, Salvo Foti, nato e cresciuto sull’Etna, profondo conoscitore di ogni anfratto remoto del vulcano, e autore di volumi sulla materia, sa ricostruire un modello univoco di vino etneo. “Esploro le pendici dell’Etna da sempre, da quando ero piccolo. E ancora oggi il vulcano mi sorprende.