Il mondo del food si interroga sul futuro della comunicazione. Non è la sola incognita al vaglio dell’epidemia, ovviamente. Ma è quella che mi appare
più facile da svelare e decriptare, perché il flusso di articoli e di comunicazioni per la stampa non è mai entrato in lockdown. Non si è mai interrotto
nemmeno per un minuto.
Che cosa abbiamo visto in queste interminabili settimane? In una prima fase, le testate militanti hanno estratto due sole medicine dalla cassetta delle
emergenze: le ricette (griffate o in carta libera) e le interviste agli chef. Le prime sono un sempreverde, un bene rifugio che non tradisce mai. Anche
chi non coltivava il genere con frequenza ha fatto di necessità virtù, sciorinando prontuari per fare il pane o la focaccia, il cacciucco o la crème
brûlée, gli gnocchi o il caffè coreano. Qualsiasi procedimento fosse commestibile e riproducibile tra le mura domestiche è stato schiaffato sulla carta
e online.
Anche le interviste agli chef d’alto bordo erano già un consolidato classico. Nel pieno dell’emergenza, tuttavia, hanno cambiato pelle. Sono diventate
un genere letterario affine alla fantascienza. Ai cuochi si è chiesto e richiesto di leggere nel futuro del mondo e di proclamare un responso divino.
Pur riluttante, mi sono inflitto parecchi di questi vaticini per documentarmi e prepararmi opportunamente al futuro che dipingevano.
Purtroppo, ho raccolto frasi sibilline, lamentazioni lacrimevoli o banalità infantili. Non ne faccio una colpa agli astri della nostra cucina. Semmai,
la responsabilità è dei miei colleghi, incapaci di condurre il discorso su terreni che non fossero stati arati da mille interviste precedenti. Col
passare dei giorni e con la riapertura graduale dei ristoranti per il servizio di consegna a domicilio e di asporto, si è aperta la strada a una nuova
forma di comunicazione. Un registro più intimo, se vogliamo. E meno istituzionale. È quello che passa attraverso i social, saltando a piè pari le
testate ufficiali, anche se gli interpreti sono penne ben note. Instagram, in special modo, è diventato il veicolo di una infinita sequela di markette.
Intendiamoci, il fenomeno era ampiamente in atto. Ma, salvo indegne eccezioni, restava nel recinto espressivo degli influencer militanti. Gente che ha
scelto di trasformare la propria esistenza in un ininterrotto spazio pubblicitario. Ogni centimetro dei fatti loro è in vendita: dalla tazza della
colazione al cuscino sul quale la notte posano il capoccione.