I vitigni resistenti si dimostrano una frontiera sempre più convincente per attuare una viticoltura meno costosa e libera dalla chimica.
PIWI, i geni della resistenza
Francesca Zaccarelli
Gli ultimi vent’anni sono stati segnati dalla progressiva diminuzione di sostanze chimiche utilizzate in viticoltura. La necessità di salvaguardare
l’ambiente e la richiesta da parte del consumatore di un vino più green hanno spinto gli stessi attori legislativi – in primis l’Unione Europea
– a vietare l’uso di pesticidi e prodotti chimici inquinanti e pericolosi per l’uomo. La conversione al biologico è un fenomeno che interessa 107.000
ettari vitati italiani, con un grande vantaggio per l’ambiente e l’economia. Tuttavia, la Vitis vinifera è una delle specie vegetali più esposte a
problemi fitosanitari, capaci di danneggiare gravemente la pianta e i suoi preziosi frutti.
Parola chiave in questo contesto è la prevenzione: abbandonata la lotta alla cieca e in base al calendario, si è cercato di prevedere l’annata e
monitorare costantemente il vigneto, per intervenire prima delle infezioni, solo quando necessario e con mezzi proporzionati e a basso impatto.
Nell’approccio biologico si usano da sempre zolfo e rame, considerati pressoché innocui per ambiente ed esseri umani. Tuttavia, l’uso costante e
abbondante di tali anticrittogamici ha rivelato negli ultimi anni la loro capacità di legarsi al terreno senza possibilità di essere dilavati. Ciò si
traduce in concentrazioni altissime e tossiche, soprattutto in quei territori colpiti dal freddo e dall’umidità come il Nord Italia e l’Europa centrale.
Il rame sembra essere una vera e propria minaccia per l’ecosistema del suolo, nonché per i mosti e i vini, tanto che l’Unione Europea ha emanato
direttive per limitarne l’uso. Allo scenario già complicato si aggiunge il cambiamento climatico, che vede una tendenza alla tropicalizzazione:
innalzamenti di temperature e forti e inaspettate precipitazioni che aumentano l’umidità sono condizioni predilette per peronospora, oidio e molte altre
problematiche fitosanitarie.
Il futuro appare quindi ricco di sfide per la viticoltura mondiale. La ricerca è la prima a essere chiamata in causa per trovare soluzioni sostenibili
per l’ambiente, gli operatori, i consumatori e il mercato. Una delle strade più batture e che sta conquistando sempre più consensi è quella del
miglioramento genetico della vite.