smart?
Anche no!

AIS Staff Writer

Da qualche settimana circolano notizie sull’andamento globale del mercato del vino, con alcune analisi sulle tendenze post Covid. I dati a disposizione non sono del tutto rappresentativi per anticipare una possibile proiezione, ma l’onda in movimento non ha l’uniformità oceanica degli anni 2018-19, e l’euforia che molti avevano stimato come certa a dicembre, quando la Cina era in piena crisi sanitaria, adesso è un’utopia. Solo pochi analisti avevano intuito che, anche senza la pandemia, il consumo del vino non avrebbe subìto impennate generalizzate. Parlarne ora è complicatissimo.

Che cosa sta accadendo al consumo e al mercato del vino? Cosa cambierà?

Punto 1. Il consumo non aumenterà e, leggendo bene i dati, non era aumentato neppure nel biennio 2018-19. Le nuove brecce nei mercati vergini facevano sperare in qualcosa di interessante, ma il vino italiano sembrava restare un po’ ai margini di quelle possibilità, e poco valeva affidarsi al mal comune mezzo gaudio, pensando che Francia e Spagna erano nelle stesse condizioni. L’onda che si sta faticosamente generando vede sulla tavola da surf Paesi come la Grecia, il Portogallo e il Sud Africa, con vini bianchi dal profilo organolettico caratterizzato da una aromaticità fruttata netta, da freschezza saporita e con basso grado alcolico, mentre nei rossi la ricerca di effetti tannici poco impressivi e un contenuto di alcol finalmente misurato verso il basso sta diventando l’optimum. Nei report più recenti, la ricerca nei rossi di caratteristiche lontane dall’austerità e dalla forzata aristocrazia è diventata sempre più comune negli acquisti on-line, a cui si sono sorprendentemente aggiunti i bag in box e, in alcuni mercati, i vini in lattina: la facile beva dello stare a casa, del lockdown, senza una carta dei vini davanti e lontani dallo sguardo indagatore del sommelier, liberi di bere autonomamente, come di indossare i pantaloni del pigiama all’immancabile conference call. Occorre fare attenzione al vino rosé; la Provenza è satura, c’è spazio per nuove aree, e l’Italia potrebbe giocarsela, se decidesse di decidere. Per gli sparkling siamo ancora al no comment, tutto fila via carbonico.


Punto 2. Il prossimo consumo del vino è un vero rebus. A parte le tendenze enunciate, su cui si potrebbe aprire una discussione infinita, non c’è possibilità di sapere dove verrà consumato: al ristorante? Al wine bar per aperitivo? A casa? La prima grande differenza sta nel vino parlato e nel vino “silenziato”? Al ristorante e al wine bar di vino se ne parla, spesso non si è soli e i commensali cambiano, come cambiano le situazioni di condivisione del vino. A casa, ammettendo di dialogare con qualcuno (ci mancherebbe altro), quel qualcuno rischia di essere sempre il solito, o la solita, o i soliti. A dire il vero, abbiamo sempre inteso l’atto di consumare il vino come una condivisione emotiva, che investe non solo chi degusta, ma anche la storia di quel vino. L’irrompere dello smart working sta creando alcuni sconquassi, perché la tipologia di lavoratori e professionisti che può adeguarsi a questo lavoro operava spesso vis-à-vis, non attraverso uno schermo, e magari l’incontro in ufficio prevedeva anche un light lunch con vino al calice, oppure un aperitivo, o addirittura una cena o le cene di rappresentanza. L’avvento del lavoro da casa sta rischiando di cancellare moltissime occupazioni; e a rischio sono, in ordine decrescente, la pausa pranzo, l’aperitivo a fine giornata e l’occasionale cena settimanale post lavoro o una fuga in pizzeria. Anche le cene d’origine congressuale rischiano grosso, come i congressi, e la causa sono loro, le videoconferenze. Questa diminuzione certa e programmata andrà a tutto svantaggio dei canali Ho.Re.Ca., così come del cibo e del vino.


Punto 3. Come cambierà? Anticipare il rapporto che avremo nei confronti delle categorie citate è complicato, è come giocare a freccette con una benda sugli occhi, e non c’è più la certezza di continuo incremento di valore per i “fine wines”, che i collezionisti si scambiano come fossero quadri d’autore. Ciò potrebbe innescare una destabilizzazione di quel wine style of life che ha aiutato molto nei mercati orientali. Il solo consumo domestico non sarà sufficiente e non ci sarà nazione del vino che non ne risentirà.


Anche il rapporto con chi vende può virare verso nuove strategie. Il vino venduto on-line produrrà una rivoluzione, come molti hanno annunciato indagando il mercato statunitense. L’immagine di un’etichetta vista in video cambia la prospettiva d’interesse se il design non è stato creato per quello scopo, se non si conforma ai pixel e ai canoni del web. Il tempo di stare sul web si ridurrà in maniera automatica, e se il marketing non troverà una visualizzazione d’appeal, molti opteranno per acquistare il brand più affermato, senza avere l’ausilio di un sommelier con cui dialogare per curiose alternative.

Concediamo pure che smart calzi a pennello con working, con abbigliamento (smart casual), con individuo (smart boy), con phone, ma non con vino e cibo. Chiediamo aiuto: troppi smart creano indigestione.