La pratica di conservare i cibi ben oltre la conclusione del loro naturale ciclo di vita si presta a chiavi di lettura culturali più complesse di quanto si possa immaginare.
l'estate in un
barattolo
Morello Pecchioli
Consiglio da amico: mai leggere libri di sociologi rurali prima di andare a letto. Si rischia di non dormire. I sociologi rurali – razza strana che alla sociologia mescolano psicanalisi e filosofia – lacerano il sonno più di dieci caffè presi tra le 23 e mezzanotte. Posso testimoniarlo. Qualche notte fa verso le tre, dopo due ore di sonno agitato, mi sono svegliato più vitale della vispa Teresa. Colpa di Gerolamo Sineri, sociologo rurale, del quale avevo letto, prima di chiudere la giornata, una frase illuminante e inquietante sulla conserva, argomento di questo articolo, che mi è rimasta sullo stomaco (la frase, non la conserva) come se avessi mangiato un barattolo di carciofini sott’olio o una scatoletta di sgombri.
Ecco la riflessione di Sineri che mi ha fatto ruminare come un bue nella stalla: “La conserva è ansia allo stato puro, il tentativo di bloccare la Storia dando a essa un sapore. Chi prepara conserve cerca l’immortalità: non èssico pomodori ma proietto nel tempo la paura della morte. La conserva casalinga non è un metodo per preservare il cibo, è una scommessa sul futuro. Chi farebbe mai più marmellate se non avesse la speranza di vivere almeno il tempo di poterle mangiare?”.
La marmellata. Sono andato in cucina, ho tolto dal frigorifero la confettura di mirtilli che a colazione spalmo su due fette biscottate integrali, ho posto il vaso sulla tavola di marmo e mi ci sono seduto di fronte a meditare sulle confetture che mi prepara l’amico Corrado Benedetti, montanaro dei Lessini, maestro di composte, gelatine e formaggi. I quali altro non sono che conserve di latte. Fissando il vasetto ho riflettuto sulla vita, sulla morte, sul senso dell’esistenza, su cosa c’è dietro quell’angolo che tutti c’impaura. Il pensiero di Sineri è profondamente vero. Mai avrei pensato, godendo di un piatto di spaghetti numero 5 e sbrodolandomi con la splendida salsa di pomodori che prepara Clara, di sperimentare, insieme al terreno piacere della gola, anche il sapore della Storia con la esse maiuscola. Ma il problema è: come farò a non pensare alla morte, sia pure proiettata nel tempo, ogni volta che aprirò un vaso di peperoncini ripieni di tonno? Che bisogno c’era di aggiungere l’ansia allo stato puro? Il pensiero della precarietà umana? Non bastava la scommessa sul futuro e l’imperitura voglia di conservare, anno dopo anno, l’estate in un barattolo?