Come ogni Paese del Mediterraneo, anche l’Albania è un eccellente produttore vinicolo. Non solo: qui la viticoltura ha radici antichissime. La presenza della forma selvatica della vite europea (Vitis vinifera silvestris) in tutto il territorio nazionale fa supporre che la regione albanese rappresenti per la vite europea un centro primario di domesticazione, oltre che di variabilità secondaria. Nella grotta di Konispol, vicino al confine greco, sono stati portati alla luce vinaccioli ascrivibili alla vite selvatica di età tra i 4000 e i 6000 anni.
Per la tradizione classica, la Tracia era la patria d’origine di Dioniso e quindi del vino. Il culto del vino fu portato in tutta la Grecia e nel Mediterraneo dai Fenici. A Durazzo e Apollonia, i porti di partenza verso l’Occidente, arrivò probabilmente un gruppo di vitigni dai Balcani, dalla Macedonia e dal Mar Nero, lungo la via Egnazia. Alcuni di questi (kriqes, kosarke, kungullore, debina e zeze) rimasero in Albania, altri raggiunsero Italia, Francia e Spagna. I vitigni mourvedre, morastell e moradella hanno in comune il prefisso “mor”, che indica, oltre a un’origine geografica comune, il colore nero dell’uva, dal greco mavros.
Tra l’VIII e il VI secolo a.C. i Greci fondarono sulle coste albanesi alcune colonie, come Epidamno (oggi Durazzo) e Apollonia (nei pressi di Fier), che divennero importanti porti dell’Adriatico orientale; in epoca romana, queste terre erano note per la produzione di vino e olio, che alimentavano una florida esportazione.
La conquista da parte degli Ottomani determinò una grave crisi della viticoltura da vino, che sopravvisse solo nelle enclave cristiane (Scutari, Valona, Coriza, Pogradec, Himara). Nelle zone musulmane si instaurò invece una viticoltura “da cortile” per la produzione familiare di uva da tavola e successivamente per la fabbricazione di distillati di vino, a partire dal XVII secolo.