nuove vette
in Valtellina

Massimo Zanichelli

Un susseguirsi di alture, rupi, declivi, pendenze, dove una moltitudine di terrazze vitate, letteralmente strappate alla montagna, costituiscono un paesaggio mozzafiato, imponente per chi lo guarda dal basso, vertiginoso per chi lo vive dall’alto. È la Valtellina, lunga vallata alpina dall’inusuale andamento ovest-est che si sviluppa prevalentemente sulla destra orografica del fiume Adda, il versante più solatio, lungo una quarantina di chilometri quasi ininterrotti che da Ardenno arriva fino a Tirano, in provincia di Sondrio: 820 ettari di vigna inerpicata e frammentata che si appoggiano sulla nuda roccia, accompagnati da circa 2500 chilometri lineari di muretti a secco. Uno scenario estremo, spettacolare, indimenticabile, che ha come protagonista il vitigno nebbiolo, qui chiamato chiavennasca.

La produzione enologica valtellinese è suddivisa principalmente in tre tipologie. Alla base della piramide c’è il Rosso di Valtellina (200 ettari vitati per 643.000 bottiglie annue). Al centro il Valtellina Superiore Docg (600 ettari), che può fregiarsi in determinate aree di cinque diverse sottozone: Maroggia (25 ha, 8000 bottiglie), Sassella (130 ha, 662.000 bottiglie), Grumello (77 ha, 261.000 bottiglie), Inferno (55 ha, 371.000 bottiglie) e Valgella (137 ha, 117.000 bottiglie). Dopo quest’ultima, sempre proseguendo verso est, si estende la zona del Tiranese, che da Bianzone arriva fino a Tirano e che gode di un’importante tradizione storica, benché sia esclusa dalle sottozone ufficiali. Il terzo vino del territorio è lo Sforzato di Valtellina, una Docg la cui produzione, circa 323.000 bottiglie annue, coincide con l’intero territorio valtellinese, o quasi: è un rosso di calore e potenza prodotto con uve lasciate appassire (ogni similitudine con l’Amarone è però fuorviante).

Iniziamo una panoramica della produzione valtellinese del XXI secolo attraverso alcune delle più significative cantine nate a partire dall’anno 2000. È indubbio che il decisivo incremento produttivo registrato negli ultimi vent’anni, in cui il numero delle aziende è raddoppiato, abbia sensibilmente modificato l’immagine e la sostanza del vino valtellinese. Sull’onda d’urto del caso Dirupi (la prima ad aver dimostrato nel 2004 che si potevano fare grandi cose partendo da zero), molte cantine - i cui titolari, legati sovente da rapporti di amicizia e collaborazione, rappresentano una realtà eterogenea per età, esperienze, provenienze - hanno affiancato i nomi storici o più conosciuti

(Ar.Pe.Pe, Balgera, Bettini, Nino Negri, Prevostini, Rainoldi, Triacca), conferendo alla Valtellina un profilo più dinamico. Di seguito una quindicina di ritratti in successione alfabetica.